L’anno della fede? La diocesi lo fa in tre

A partire dall’Anno della fede la diocesi di Concordia – Pordenone insieme con il vescovo Giuseppe Pellegrini ha deciso di spendere almeno tre anni pastorali da declinare come fede da vivere, da condividere e da celebrare, e infine da testimoniare.
Il momento d’avvio in diocesi dell’Anno della fede ha registrato un’adesione numerosa e convinta agli eventi organizzati, a iniziare dalla splendida serata dell’11 ottobre 2012. In quella occasione sacerdoti, religiosi e religiose, ma anche autorità civili e militari, sindaci e amministratori degli enti locali, come i consigli pastorali parrocchiali e le associazioni del territorio hanno gremito il Palazzetto dello sport di Pordenone per un triplice appuntamento: l’apertura appunto dell’Anno della fede, la memoria dei 50 dell’inizio del Concilio Vaticano II, l’avvio dell’anno pastorale 2012-2013. Adesioni convinte si sono confermate anche per gli appuntamenti formativi successivi, dedicati alla fede, al credo, ai documenti del Concilio.
Di quest’Anno della fede e di questo impegno corale si colgono i primi frutti.
È nato il Centro di pastorale giovanile, punto di riferimento per i progetti che riguardano adolescenti e preadolescenti. L’organismo è chiamato a essere strumento di educazione alla fede, di coordinamento della pastorale giovanile, di sussidiazione per le parrocchie in deficit di risorse e di mezzi. Nuovo impulso è stato impresso alla Pastorale familiare. Le sue proposte formative, rivolte sia separatamente che congiuntamente ai sacerdoti e ai laici, stanno maturando nelle comunità parrocchiali una sensibilità missionaria nuova verso i giovani che si aprono al mistero dell’amore, i fidanzati, le famiglie, le coppie in difficoltà sino a raggiungere le famiglie «ferite e spezzate».
È maturata la consapevolezza che è terminata la stagione della parrocchia autosufficiente e autoreferenziale. Le mutate condizioni pastorali e culturali invitano a porre mano al riassetto complessivo della diocesi, spingendo a seguire i dettami della pastorale integrata e valorizzando le articolazioni intermedie della Forania e delle Unità Pastorali. È in atto nella diocesi un percorso che, partendo da un Instrumentum Laboris circa le Foranie e le Unità Pastorali, porterà nell’anno pastorale 2014 a investire con determinazione le energie per una reale pastorale in rete.
L’intento è di fermentare una Chiesa che viva, nella concretezza di relazioni intense e solidali, il mistero della comunione e che si presenti con un volto decisamente missionario. La diocesi sa di dover affrontare le criticità della condizione ecclesiale come la drammatica contrazione numerica dei sacerdoti e il calo vocazionale, una gestione della fede talvolta in termini consumistici e soggettivi che preoccupano e fanno  soffrire. Le mutazioni culturali, il fenomeno dell’immigrazione, gli effetti della crisi economica che non hanno risparmiato neppure il nord est non possono lasciare indifferenti. Anzi, interpellano fortemente proprio chi è credente e tanto più chi alla trasmissione della fede dedica la sua vita.
Eppure, dentro a questi scenari, ci si sente stimolati a reagire in modo coerente con il Vangelo della misericordia e della carità. A tal proposito è stato ricostituito il Fondo diocesano di solidarietà per i poveri, chiedendo anzitutto ai sacerdoti di rinunciare a una loro mensilità. Una risposta strategica è anche la scelta di mettere in alleanza le parrocchie per una  pastorale dinamica «tra le case della gente», prendendo, come ha insegnato papa Francesco, «l’odore delle pecore».
Fabrizio De Toni * vicario per la Pastorale.
(Articolo pubblicato sul quotidiano ‘Avvenire’ di domenica 28 aprile 2013 a cura del settimanale diocesano “Il Popolo” )

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Chi ha il primato, noi o un Altro?

Audio Omelia 14.04.13

Domenica 14 aprile 2013

Letture: At 5, 27b-32. 40b-41; Sal 29; Ap 5, 11-14; Gv 21, 1-19

Dal vangelo secondo Giovanni
[In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. ]
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

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Tommaso, concretezza ed oggettività

Audio Omelia 07.04.13

Domenica 7 aprile 2013

Letture: At 5, 12-16; Sal 117; Ap 1, 9-11.12-13.17.19; Gv 20, 19-31

Dal vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

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Non lasciamoci rubare speranza e fede

Audio Omelia 31.03.13

Domenica 31 marzo 2013

Letture: At 10, 34a. 37-43; Sal 117; Col 3, 1-4; Gv 20,1-9

Dal vangelo secondo Giovanni
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

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‘Misera et Misericordia’

 

 

 

 

 

 

Audio Omelia 17.03.13

Domenica 17 marzo 2013

Letture: Is 43,16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

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Psicologia del ‘fratello maggiore’

Audio Omelia 10.03.13

Domenica 10 marzo 2013

Letture: Gs 5,91.10-12; Sal 33; 2 Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

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Foranie e Unità Pastorali

Intervento sulla Pastorale Integrata-UP-Foranie

Consiglio Presbiterale

Seminario di Pordenone, 28 Febbraio 2013

 

a)      Le mie considerazioni vanno ad integrazione dell’intervento organico e dettagliato del Vescovo sulle Unità Pastorali (UP) e sulle Foranie (vedi Bozza di Instrumentum Laboris che riesprime l’intervento stesso). Non intendono essere una forma di benedizione e di consacrazione della proposta dell’episcopo, la quale è già in sé condivisibile ed autorevole, ma una sorta di ripresa con alcune integrazioni. Sarà importante interloquire, discernere come presbiterio, evitare disfattismi e tiepidezze, investendo la nostra libertà e creatività.

b)      La decisione del vescovo di por mano in termini energici al riassetto delle nostre articolazioni territoriali ed ecclesiali non è riducibile ad una uscita estemporanea, o ad un ‘tormentone pastorale’ condiviso dai vescovi italiani e poco attraente per i presbiteri italiani. E’ una scelta più che motivata, assolutamente ineludibile e che si colloca nella cornice di un percorso diocesano iniziato da tempo. Eccone i passi più recenti. Ricordiamo il contributo sulla Forania di Mons. Lorenzo Cozzarin al Consiglio Presbiterale del Marzo 2012. Egli evidenziava l’intelligenza e la reattività della Diocesi nell’ultima fase storica di fronte ai cambiamenti in atto. La Diocesi allora era riuscita a superare la tentazione dell’inerzia e dell’irrigidimento, riuscendo ad operare una serie di riforme. Sono ancora utili i criteri di lettura e di discernimento che vennero adottati: criterio territoriale-geografico, demografico, economico, culturale, politico, religioso. Richiamiamo inoltre l’analisi offerta da don Roberto Laurita. Egli proponeva di uscire dalla categoria classica del ‘praticante’, per interpretare ed inquadrare ciò che sta mutando, per adottare quella del ‘pellegrino’ libero e svincolato, che si delocalizza preferendo parrocchie e santuari altri rispetto a quelli del suo ambiente, che si muove smaliziato dentro ai ritmi degli itinerari catechistici, liturgici, pastorali offerti dalle nostre parrocchie per costruirsi un suo personalissimo ritmo ed itinerario. Accenniamo infine alle riflessioni di don Luca Bressan e di don Giampietro Ziviani offerte durante le settimane residenziali del clero dello scorso anno.

c)       Si possono così tirare almeno un paio di conclusioni. I cambiamenti sono strutturali, veloci e permanenti. La contrazione del clero, il fenomeno dei battezzati lontani e ‘fai da te’, la presenza considerevole di immigrati, la fuga nella fase del post cresima… questi cambiamenti e nuovi scenari sono pastoralmente inaffrontabili gettandosi nella mischia in splendida solitudine o infilando la testa sotto la sabbia attendendo il passaggio della tormenta. Di qui la proposta di una decisa e ferma pastorale integrata. La seconda conclusione consiste nell’adozione e nell’attivazione convinta di Foranie ed UP come strumenti e forme di cooperazione in chiave missionaria a servizio delle parrocchie, che rimangono in ogni caso le protagoniste. Per la nostra Chiesa locale si tratta di una conclusione condivisa e che ci differenzia dalle strategie e dalle conclusioni di altre Chiese locali. Facciamo qui brevemente riferimento alla sperimentazione della Chiesa di Milano con le sue ‘Comunità Pastorali’, che stanno subendo una brusca frenata di ripensamento, e a quella della Chiesa di Parma. In sostanza si dà origine ad una sorta di super-parrocchia dotata di un unico Consiglio Pastorale e di un unico Consiglio Pastorale per gli Affari Economici. Una ‘piccola diocesi nella diocesi’ così come la definisce  il gergo di alcuni preti milanesi, che tende a svuotare di protagonismo le singole parrocchie, riducendo di fatto i parroci a vicari parrocchiali alle dipendenze di un unico parroco (per questi presbiteri che improvvisamente si ritrovano ‘declassati’ si è inventato il neologismo di ‘sparroci’). Essa accumula responsabilità, incombenze e burocrazia nelle mani di pochi. Tutto ciò è stato messo in luce, assieme ad aspetti interessanti e positivi, da una recente tesi di laurea, non pubblicata, di don Paolo Ciotti,  dal titolo ‘Dinamiche di innovazione della Chiesa di Milano’, della quale si trova una sintesi nel numero di settembre 2012 della Rivista del Clero Italiano. Le Unità Pastorali a mio avviso presentano un nodo critico sul quale riflettere e meritevole di approfondimenti. La struttura dell’UP con il suo moderatore, Equipe, Consiglio e progettazione pastorale forte, se teniamo presente il discernimento diocesano, vanno intesi come strumenti per la promozione della vivacità delle parrocchie. Ora, una gestione poco oculata di tale strumento potrebbe generare un conflitto tra singola parrocchia e UP, con conseguente cortocircuito aspro o indolore. E’ una ipotesi realistica che va tenuta sotto controllo per evitare che i due livelli si oppongano o si ignorino. Sarà l’intenso dialogo e il coinvolgimento convinto nel lavoro di rete che consentirà di evitare fastidiose opposizioni e di tessere relazioni pastorali dettate da uno spirito di comunione e vissute in un clima di armonia.

d)      Esiste un ulteriore punto sensibile sul quale concentrare la riflessione. Ovvero chiarire obiettivi e criteri sui quali accordarci. Da quello che ho inteso, Forania e UP sono destinate ad essere innanzitutto forme di sinergia pastorale per la formazione e per la missione, più che istituzioni amministrative e organizzative, ovvero esse sono ‘operazioni’ pastorali di fraternità e di comunione. Detto diversamente, non si tratta di invenzioni razionali, ingegneristiche, logistico-manageriali, ma relazionali. Insistere, pur con tutta la professionalità e serietà da porre alla dimensione metodologica e tecnica, sulla organizzazione mette in ombra la verità e la bontà del progetto della pastorale integrata. Ne vien fuori solamente una immagine arida e ‘frigida’, che non riesce ad aver presa. L’insistenza opportuna va posta sulla dinamica relazionale e comunionale. E’ in fondo la forma di Chiesa amata e sognata dal Vat II, che può esercitare una attrazione ‘estetica’. Non v’è nulla di più bello della comunione. A tal proposito si legga il documento della Chiesa di Brescia sulle UP che dedica, quasi esagerando di proposito, tutta una serie di paragrafi alla comunione andando a scomodare addirittura la SS.Trinità. Sulla stessa lunghezza d’onda il documento della Chiesa di Treviso che arriva a ‘ridefinire’ le UP chiamandole ‘Collaborazioni Pastorali’.

e)      Il Percorso. Mi si permetta una parola sul team che dovrebbe guidare il processo di costituzione delle UP. Lo immagino come una squadra che ha il compito di accompagnare, di facilitare, di monitorare il cammino in tutti i sui passaggi: fase di discernimento iniziale, fase di istituzione, fase di implementazione. Il tutto secondo un atteggiamento che non sia di controllo, ma di sostegno.

f)       La corresponsabilità laicale. Essa andrà cercata ed esercitata fin da subito. Esiste già una buona letteratura in proposito a partire dal magistero per finire con  la riflessione autorevole delle voci più significative del laicato italiano. Don Luca Bressan, il pastoralista di Milano, esorta con franchezza e ripetutamente a tenere a bada la tentazione di impostare la pastorale integrata in termini clericali, procedendo in modo ‘verticale’. Andranno coinvolti i Consigli Pastorali, gli operatori laici di base, le aggregazioni e le associazioni diocesane. La corresponsabilità laicale domanda una serie di conversioni. Ne individuo almeno due. Una conversione presbiterale al gusto del lavoro in squadra, alla scoperta paterna di carismi e risorse e all’invito altrettanto paterno alla corresponsabilità nella progettazione e nella gestione dei progetti. Se non ci muoviamo in questa direzione o i sacerdoti saranno intraprendenti (e al limite dell’infarto), ma tenderanno a bloccare gli spunti e l’iniziativa laicale, o si presenteranno sulla scena pastorale statici  ed impotenti di fronte alle urgenze che spingono. Sarebbero auspicabili preti che sanno muoversi alacremente dietro le quinte, da registi e ‘padri’ saggi, abili nel promuovere a dare fiducia ai ‘figli’. Una conversione laicale. Sarà indispensabile avviare almeno un nucleo di laici ad una formazione di primo livello. Il Biennio per Coordinatori pastorali e le differenti proposte formative diocesane possono ottimamente rispondere alla nostra esigenza. Ci si doterà allora di ‘quadri’ medio-alti che, guidati per un servizio umile (occhio al clericalismo alla rovescia con contrapposizioni dal sapore sindacale), consentiranno di costruire il nuovo assetto di Chiesa con tutta la sua gamma di offerta nella cornice della nuova evangelizzazione.

g)      Si profila un cantiere ed una avventura avvincente e appassionante. Credo che Dio sia all’opera già da tempo nonostante e dentro le stanchezze e le contraddizioni europee ed italiane, per sagomare una Chiesa estroversa e tonica. Ci viene chiesto di rispondere, di essere corresponsabili, imparando a muovere le nostre mani al ritmo delle Sue.

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Pastorale integrata

 

La riflessione circa la pastorale integrata è nata in Italia ed in Europa attorno agli anni ’80. Ora la letteratura è piuttosto consistente e su di essa ha sviluppato un pensiero autorevole il magistero della Chiesa, che a tal proposito esce dalla ‘vaghezza’ di cui molti operatori pastorali lo accusano e si fa ‘fresco’ e concreto. Per le nostre considerazioni ci rifacciamo alla Nota CEI del 1° Luglio 2004 ‘Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia’ ed in particolare al n° 11 della stessa.

 

Va detto da subito che i recenti documenti CEI, compresa la succitata Nota, confermano la bontà della realtà parrocchiale. Il reticolo parrocchiale con il suo inserimento e radicamento sul territorio in modo capillare rende la parrocchia essenziale. In Italia ha determinato la formazione di un cristianesimo popolare, non elitario, ed ora fatto oggetto di ripetuti studi in ambito europeo. La parrocchia consente l’accesso all’esperienza di fede narrata, celebrata, vissuta nella ferialità. Il campanile della Parrocchia, pur non così ‘evidente’ come in passato dove era simbolo potente di aggregazione e di appartenenza, sta ad indicare ancora una presenza che possiede forza dinamica. Quindi è giusto trattare con riconoscenza e rispetto la Parrocchia, che non va relegata tra i prodotti del passato o come una anticaglia di cui sbarazzarsi.

 

Tuttavia, eccola la precisa valutazione dei vescovi italiani, la parrocchia autosufficiente non tiene più. Le ragioni sono ovvie e sotto gli occhi di tutti. Ne elenchiamo alcune: contrazione rapida del clero, fenomeno dei battezzati lontani o appena sulla soglia, aumento dei non battezzati e dei non credenti, presenza massiccia di immigrati con la loro cultura e la loro tradizione religiosa, cristiani fai da te, sparizione del postcresima, nuove povertà… Tutto questo determina degli scenari e delle sfide inaffrontabili dalla singola parrocchia. Pensare che basti scuotere le coscienze e chiamare ad una ‘adunata’ attorno al campanile appare manovra votata ad essere inconcludente oltre che patetica. La quantità e la complessità delle nuova condizione per la parrocchia domanda ben altro.

 

Eccola allora motivata la proposta di una pastorale integrata. Non va scambiata per l’ultima chance disperata della barca chiesa che non riesce a tappare le falle, e non è nemmeno una costrizione dovuta ad una pressione esterna che non si riesce ad arginare altrimenti. Si tratta di una scelta voluta liberamente, frutto di un approfondito discernimento, che deve essere tradotta poi nell’operatività con pazienza e determinazione insieme. La pastorale integrata, e questo è un secondo argomento a suo favore che non viene dalle urgenze, appare come una opportunità provvidenziale che consente di riformare il volto della Chiesa in termini più aderenti alle intuizioni del Vat II.

 

Essa, prima che una tecnica e un agire, è una mentalità ecclesiale e pastorale. E’ come una sensibilità della mente, del cuore e della volontà. Insomma è una cultura creata dal gusto spirituale di interagire, di fare squadra tra preti e vescovo, tra preti e preti, tra preti/religiosi/diaconi e laici. E’ paragonabile ad una tessitura di relazioni intraparrocchiali, interparrocchiali, diocesane che si spingono a connettersi con i movimenti e le associazioni. Ci è dato con essa il piacere di suonare lo spartito del Vangelo attivando carismi, risorse, servizi e ministeri in modo armonico e comunionale.

 

Una volta descritto così, pur nella sua approssimazione, il profilo della pastorale integrata va detto che essa è destinata a tradursi soprattutto su due livelli: la Forania e l’Unità Pastorale. Ciò significa che le parrocchie si coalizzano in rete, fraternizzano e si attivano per coordinare la pastorale e renderla intraprendente e missionaria. In questo modo non ci si accontenta di arginare i problemi o di gestire l’esistente, ma si reagisce reimpostando l’assetto complessivo. L’ipotesi più probabile per dare consistenza effettiva ai due livelli appare essere quella di attribuire alla Forania il compito di essere luogo per la fraternità presbiterale e per la formazione di primo livello, mentre all’Unità Pastorale quello di strumento per organizzare la pastorale giovanile, famigliare e delle azioni rivolte ai lontani. Il convegno di Verona del 2006 ha individuato 5 ambiti da abitare pastoralmente: la vita affettiva ed emotiva, la fragilità e il disagio, il lavoro e la festa, la tradizione passata e recente, la cittadinanza.

 

I vescovi agganciano sempre alla strategia della pastorale integrata una seconda scelta, che appare consequenziale e necessaria: la scelta della corresponsabilità. Per effettuare il passaggio dalla collaborazione alla corresponsabilità è necessario superare una immagine di prete ‘nordico’ superattivo ed intraprendente, che pensa in anticipo i progetti, chiedendo tutt’al più e a cose fatte dei consigli, ed emana poi disposizioni e ordini per realizzarli tentando di coinvolgere il maggior numero possibile di laici. Quindi ci si augura di poter passare da un vitale organizzatore e distributore di compiti ad una regia pastorale dove i laici possano condividere la responsabilità sin da subito: nell’analisi, nel discernimento, nella individuazione degli obiettivi, delle strategie, delle iniziative, nelle decisioni e nella conduzione dei progetti. Se all’interno di un Consiglio Pastorale ci si limita ad informare e a comunicare, a trovare soluzioni operative su bisogni già valutati ed interpretati altrove mortifichiamo certamente la corresponsabilità. Essa amalgama sapientemente risorse e consente loro di esprimersi, rivitalizza, potenzia e diversifica l’offerta pastorale, crea solidarietà nella responsabilità. Al pastore competerà la regia della corresponsabilità, a lui viene chiesto di incoraggiare. Ritengo non ci sia nulla da perdere per il parroco nel lavorare dietro le quinte, divenendo il primo interlocutore dello Spirito Santo che ama arricchire la comunità e metterla in connessione. Interpretata  così la corresponsabilità, al parroco non viene chiesto di lavorare di più o di meno, ma in termini diversi, meno solitari, più creativi e ci permettiamo di aggiungere, forse anche più distensivi. Una affascinante e promettente prospettiva anche per la nostra Chiesa diocesana.

 

Intervento fatto al Consiglio Pastorale Diocesano del 22.02.2013

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Tabor, iniezione di speranza

Audio Omelia 23.02.13

Domenica 24 febbraio 2013

Letture: Gen 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17- 4,1; Lc 9,28-36

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

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