In margine alla Visita Pastorale

Il Viandante sul mare di nebbia  è un dipinto a olio su tela del pittore romantico tedesco Caspar David Friedrich, realizzato nel 1818

Tutti sanno che domenica 10 settembre andremo ad aprire la Visita Pastorale. Il documento che la illustra ‘Oggi devo fermarmi a casa tua’ (Lc 19,5) contiene una inquadratura teologica ed ecclesiale e termina con una parte tecnica. Al di là di alcuni contenuti innovativi, come l’enfasi data all’ascolto o il primato dato alla ‘flessibilità’ nel disegnare l’itinerario effettivo della VP in ogni singola unità pastorale, vi colgo una volontà di avviare e sostenere dei processi pastorali. In Evangelii Gaudium ai numeri 222-225 Papa Francesco insiste su un principio interpretato in chiave pastorale che recita ‘Il tempo è superiore allo spazio’, dove esorta a non riempire l’agenda di progetti, impegni, eventi diventando matti con la pretesa titanica e adolescenziale di arrivare immediatamente al risultato, di fare colpo agguantando il successo. Ciò che conta è avviare… processi,  una marcia nel tempo e dandosi tempo, passo dopo passo, tendendo all’orizzonte indicato dallo Spirito. La spiritualità della strada domanda pazienza, libertà di cuore, fiducia. Una serie di processi sono già avviati. Di essi è saggio prenderne consapevolezza e sostenerli. Uno dei processi prioritari è la sinodalità. Parafrasando San Giovanni Crisostomo si può sostenere che la Chiesa è sinodale (syn-odòs ovvero camminare insieme, sulla stessa strada) o non è chiesa. Da qui l’importanza degli organismi di partecipazione, come il Consiglio Pastorale, dove esercitarsi nel discernimento comunitario. Splendido osservare l’evoluzione degli operatori pastorali che superano il livello logistico, la smania di occuparsi solo di sagre e di processioni, per interrogarsi con il Vangelo alla mano sui passi da effettuare. La sinodalità è fatta di ascolto, tempi distesi senza fretta, superamento delle logiche aziendali dove il parroco pensa con alcuni eletti e incontra i rimanenti per distribuire incarichi. Strettamente collegato con la sinodalità è il processo di maturazione di una vera corresponsabilità laicale. E’ evidente che l’antico modello del prete nordico-italiota tuttofare, imponente macchina ideativa e organizzativa, non regge, anzi emerge in tutto il suo clericalismo. La scoperta della dignità laicale, cinquant’anni dal Concilio Vaticano II sono poca cosa, invoca un pastore che si muova come un abile ‘talent scout’, ovvero ‘scopritore di talenti’. Egli dovrà apprendere a valorizzare, ad aiutare e a farsi aiutare, a non accentrare, a spartire parti rilevanti del suo servizio. I laici d’altro canto è opportuno stiano in guardia da atteggiamenti rivendicativi che generano incomprensioni e competizioni inutili. Viene da sé come l’impostare una leadership condivisa sarà frutto di un lungo percorso. Non ci sono ricette preconfezionate. E’ un terreno sul quale procedere sperimentandosi, osando, innovando obbedienti alla Parola e allo spirito di fraternità. Il luogo dove avviare cammini rimane certamente la parrocchia. Essa non è una forma desueta da rottamare. Andrà sapientemente e tenacemente messa in rete con le parrocchie sorelle vicine. Il processo di avvio delle unità pastorali è ancora ai primi vagiti. Se le scambiamo per sovrastrutture imposte dall’alto, come un ulteriore aggravio per le gracili spalle del reverendo di turno, non andremo molto lontani. Sono piuttosto una forma di comunione e di cooperazione per sostenersi, arricchirsi reciprocamente, e per una azione ecclesiale più incisiva. Mettersi ad elaborare piani pastorali a tavolino affaticherà solo lo spirito. E’ incontrandosi, provando a discernere insieme, facendo delle esperienze comuni che ci si affiata, ci si apprezza e si intuiscono le scelte da compiere. Ed infine permettetemi di evocare un ultimo processo pastorale che va sotto il nome di ‘conversione missionaria della pastorale ordinaria’. Una sfida che dovrebbe entusiasmarci. Certe posizioni minimaliste della serie ‘i preti sono stanchi, poverini, non tormentiamoli, è sufficiente che recitino il breviario, dicano messa e vadano a trovare i malati, lasciamo stare tutta questa storia della chiesa in uscita’ le trovo di un disfattismo che fa a pugni con la permanente volontà di riforma dello Spirito Santo. Sono pure fuori posto i propositi faraonici di trasformazione, che il più delle volte si rivelano dissanguanti moltiplicazioni di cose già viste. La pastorale estroflessa e missionaria immagino sia possibile nel lavoro concertato tra molti. Genialità solitarie e carismatiche sono abili solo ad accendere fuochi di paglia. Inoltrarci nel futuro con speranza, in compagnia del Risorto, sarà così una esperienza di fraternità gioiosa, una carovana solidale, un santo pellegrinaggio (cfr EG 87).

 

Don Fabrizio De Toni

Vicario Episcopale per la Pastorale

Articolo pubblicato su Collegamento Pastorale (diocesi di Concordia-Pordenone) del 15.05.2017

http://www.diocesi.concordia-pordenone.it/diocesi_di_concordia___pordenone/uffici_di_curia_e_servizi_pastorali/00004156_Collegamento_Pastorale.html

 

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Precedenze

Lavatorio de los pies completo

 

 

L’articolo del sociologo Luca Diotallevi, pubblicata su La Rivista del Clero Italiano del novembre dello scorso anno, mi intriga non poco. Con i dati in suo possesso, enfatizza il fatto che le associazioni ecclesiali dell’AC e dell’Agesci possiedono una quota di iscritti maggiore a tutte le altre formazioni cattoliche, movimenti e associazioni, presenti nella realtà italiana. Evidenzia come una pastorale organica e strutturata non è andata ancora in pensione. Con questo non si vuole stabilire una stupida equazione, dando per scontato che AC e Agesci possiedono il monopolio degli itinerari organici e strutturati. L’analisi di Diotallevi sottolinea piuttosto come organicità e strutturazione siano un criterio fondamentale e strategico, direi prevalente su ciò che è flessibile e sciolto. Parla uno che ama la libertà e l’innovazione. Organicità e strutturazione infatti conferiscono solidità alla proposte pastorali ed innescano dei ‘processi’ (come ama definirli papa Francesco), dei percorsi virtuosi che riescono a modificare/riformare in modo profondo l’azione della chiesa. In altre parole l’ordinario è prevalente sullo straordinario, il cammino sulla sequenza di eventi, la cura per ciò che è sostanziale sull’estemporaneo. Se è coerente la riflessione condotta sin qui, è ai ‘processi’ pastorali che va data precedenza. Tra questi si annoverano certamente, per quanto riguarda la nostra diocesi, la riforma del tessuto della chiesa locale nella forma delle Unità Pastorali, il progetto catechistico ‘Alfabeto della fede’, i percorsi di formazione per animatori di Pastorale Famigliare, lo sforzo del CPAG (Centro di Pastorale Giovanile) per qualificare gli operatori dell’ambito. Essi rientrano nella logica della strutturalità. Tendono ad avviare una pastorale integrata, ad incrementare una cultura della corresponsabilità, a spostare il tiro sugli adulti smettendola di essere puerocentrici, ad impostare un servizio ecclesiale dinamico e missionario. Ora, i nuovi scenari pastorali sottopongono ad uno sforzo di conversione pastorale notevole. Esso domanda studio, discernimento comunitario, coinvolgimento laicale, superamento di logiche autoreferenziali… insomma un sacco di energie. Cosi in molti stanno alzando la manina, invocando ‘alibandus’! Si moltiplicano coloro che danno dei segnali di affaticamento, di logoramento, di burn out o sindrome dello ‘scoppiato’. Si invoca un ritmo rallentato, una ridistribuzione dei carichi, uno spirito di pazienza. Tutto vero e da prendere in considerazione. Tuttavia, c’è come uno strabismo, un ostinarsi a concentrarci sull’esterno, sulla quantità e modalità delle cose da fare. Siamo proprio sicuri che la radice del malessere stia all’esterno, in una gestione operativa da razionalizzare? O non piuttosto vada cercata all’interno, nel proprio cuore, in motivazioni ‘altre’, le quali si inseriscono accanto alla passione del Vangelo bruciando una quantità smisurata di energie. Tra queste: l’invincibile mania di tener tutto sotto controllo, l’accanimento nell’arrivare ovunque, il bisogno di affermare le proprie idee e gusti, l’incapacità di incassare gli insuccessi che ci prostrano e umiliano. Intendo dire che la precedenza è dell’interno sull’esterno, della verità di sé sulla chiarezza organizzativa, dell’ordo del cuore sull’ordo dei progetti. Sono convinto che ciò che sta accadendo alla chiesa che è in Italia, soprattutto del Nord, è una sfida provvidenziale per una quaresima autentica, e per una vera esperienza di misericordia.

Febbraio 2016 Testo pubblicato su Collegamento Pastorale

della Diocesi di Concordia-Pordenone

 

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