Mlac e non solo, quindi Mlac&Arte
Intrigante il tentativo di porre a confronto Mlac e arte, una realtà associativa e una realtà artistica, una produce formazione e azione pastorale sul lavoro e l’altra produce bellezza, la prima si occupa di lavoro e la seconda può occuparsi di lavoro. Proviamo quindi a far interagire il Movimento lavoratori di Azione cattolica e un’opera d’arte cara al Movimento stesso, ci piacerebbe che quasi dialogassero per mostrare le loro reali e nobili intenzioni che quasi combaciano, anzi l’una concorre a mostrare ciò che preme all’altra.
Introduciamo innanzitutto il San Giuseppe falegname di Georges de La Tour. Vi invitiamo ad interrompere la lettura di questo testo − per quanto basterà – in modo tale da contemplare con calma il dipinto, osservandolo e gustandolo. Siamo nella penombra di una bottega artigianale volutamente spoglia, de La Tour ha imparato la lezione chiaroscurale di Caravaggio, togliendo di proposito con il fondo nero tutto ciò che può disturbare, e non risultare essenziale, per dar maggior risalto agli elementi simbolici raffigurati. Un anziano calvo e corrugato, che immediatamente identifichiamo con san Giuseppe, il patrono del lavoro e dei lavoratori, sta piegato con le maniche del camiciotto arrotolate su un trapano a mano. La presa è sicura ed esperta nel gesto, le braccia si presentano ancora vigorose. La sua fronte la troviamo vicinissima a quella del Figlio adolescente. Un lume viene retto con eleganza dalla mano destra del ragazzo, che ne attenua la luce o ne protegge la fiamma con la mano sinistra. La fiamma che si alza generosa e soprattutto il viso luminoso del Figlio – acceso di luce propria e soprannaturale – illuminano la scena. Per contrasto viene evocata una penombra, una notte altra, oggettiva e misteriosa nel contempo, quasi una tenebra esistenziale e spirituale. E ancor più, si contempla il vigore della luce che rimanda ad una luce altra, una luce taborica, di bellezza divina. In aggiunta, si noti, insieme al gioco di contrasto tra luce e tenebre, l’opposizione tra anzianità e innocenza, tra lo sguardo apprensivo del padre che fissa un punto indeterminato (il destino del Figlio?) e lo sguardo di Gesù che sembra fissare il volto del Padre suo, al quale con le labbra socchiuse sta pronunciando il suo sì. Qui emergono, tra la luce e il colore ramato e caldo, persone e cose in un’atmosfera di intimità, rarefatta, per certi versi fuori dal tempo eppure feriale e concreta.
Nell’opera di de La Tour si celebra la quotidianità del lavoro fatta di responsabilità e cura, ed inoltre la relazione educativa e collaborativa dolce ed efficace. Sappiamo che i lineamenti di Gesù sono quelli del figlio dell’artista, che hanno in questo modo contribuito a conferire ulteriore fascino all’immagine nel tratteggiare affetto e tenerezza. Da notare il pezzo di trave su cui si lavora, la quale svela la vocazione ultima del ragazzo, egli in fondo sta apprendendo con Giuseppe e nella “bottega” del cuore il mestiere del vivere. Se zoomiamo sui sandali andiamo a scoprire che i due indossano le medesime calzature, ad indicare una intesa formativa, un passaggio di consegne, una traditio viva, un ricevere un’abilità che andrà proseguita ed interpretata con creatività e originalità. Nell’occhio di Giuseppe c’è come un luccicore. Forse una lacrima di consapevolezza e di commozione? O di gioia e di legittimo orgoglio paterno? Giuseppe “vede”, non è “cieco”, infatti sta facendo spazio ad una luminosità, ad un senso, ad un progetto, ad un Mistero che non viene da lui. Geniale la mano traslucida del Figlio, dettaglio di comprovata bravura e di valore teologico anch’esso. Tra le dita e le unghie della mano vi è della sporcizia, la quale richiama l’Incarnazione, la solidarietà con la terra, con la carne degli uomini, con quanti lavorano e si curvano sulla terra per custodirla. Ritornando all’elemento della luce, ci è dato di apprezzare il ruolo centrale della fonte luminosa nell’opera e nella comunicazione con lo spettatore. Essa conferisce leggibilità, ordine e bellezza all’istantanea lavorativa, segnala inoltre la luce del Vangelo, della Verità, del Logos, della Parola anch’essa lampada per i passi dell’uomo, in grado di apportare senso al faticare umano. In tal modo, il lavoro diviene attività nobile e alta, coinvolgimento nell’azione creativa e generatrice di Dio. Perciò dalla abilità artigianale del carpentiere, che conosce i misteri del legno ricavandone oggetti utili con sapienza pratica ed estetica, risaliamo al lavoro in sé come arte e vocazione. Così, l’uomo – faber – edifica il mondo e il regno di Dio insieme, costruisce la sua personalità e dignità, mette in piedi una famiglia. Senza lavoro sarebbe uno scarto, un rifiuto sociale, uno squalificato e impoverito lasciato ai suoi bisogni.
La verità, in aggiunta, agisce come la luce artistica, conferisce senso, e perciò fa emergere il non-senso di un lavoro non-libero, non-solidale, non-creativo, non-partecipativo, di una attività umana ridotta a merce, sottopagata e sfruttata. Che triste quando l’operatività dell’uomo degenera in competizione, si corrompe in ambizione, si trasforma in una corsa all’accumulo. In tal modo, il lume di de La Tour mette a nudo le ingiustizie sociali, le distorsioni della tecnocrazia finanziaria, i deficit etici.
Tuttavia l’opera, in una azione-lavoro formativo che gli compete, non intende concentrare l’occhio sullo scuro, ma sul chiaro che lo scuro stesso contribuisce ad evidenziare. Il Mlac intende fissare lo sguardo, fare luce, applicare il suo discernimento sui contesti sociali locali e globali. La sua lettura interpretativa dei fenomeni economici e lavorativi vuole essere franca e competente, muovendosi da una prospettiva di fede, con la strumentazione offerta dalla Dottrina sociale. Il Mlac è bene rimanga estremamente sensibile per gioire, contemplare, festeggiare, ma anche per indignarsi e denunciare, e ancor più per appassionarsi alle ragioni del bene. Il discernimento parte dall’ascolto e dall’osservazione, dall’orecchio e dallo sguardo, e passando per il cuore finisce per ideare e attuare delle decisioni, coinvolgendo le mani. Oltre al discernimento ecclesiale, al Mlac compete l’evangelizzare sempre, ovunque, comunque, attraverso vari e differenti canali: formazione, eventi culturali, bandi di progettazione sociale, contest ispirati alla dottrina dell’ecologia integrale, installazioni artistiche, social, newsletter, offerte di preghiera strutturata, dibattiti… alleanze con altre agenzie che si occupano delle medesime tematiche.
Esiste già una attività umana lavorativa sana e santa, un brulicare di fermenti di giustizia e di fraternità, un luccicore di segni di speranza da godere e da rilanciare con l’ausilio dello Spirito, ai quali il Malc vuole portare il suo umile e intraprendente contributo, perché la storia divenga giardino ospitale ed inclusivo.
Don Fabrizio
San Giuseppe falegname o San Giuseppe carpentiere è un dipinto del pittore francese Georges de La Tour realizzato intorno al 1642 e conservato al Museo del Louvre a Parigi in Francia. Il dipinto fu donato nel 1948 da Percy Moore Turner per il Museo del Louvre. Olio su tela. Dimensioni 137×102 cm.
La virtù della costanza
Un verbo vicino alla sapienza e all’arte del coltivatore diretto, che attende con fiducia, si prende cura del suo campo, vigila e custodisce il processo della crescita. “Accompagnare”: il verbo che è in cammino con noi, nella pastorale e nella vita
Per inquadrare la breve riflessione sul verbo “accompagnare”, uno dei verbi da interpretare e da applicare per una Chiesa in uscita, e che troviamo nell’esortazione Evangelii Gaudium al n. 24, è opportuno richiamare i verbi che precedono: prendere l’iniziativa, coinvolgersi; e che seguono: fruttificare e festeggiare. Tutte parole e azioni che possiedono una qualità dinamica, ovvero impossibile vietato “fare la nanna”, addormentarsi in una tristezza dolciastra, poiché la missione urge, il Vangelo domanda di essere narrato e di correre. I primi verbi impongono un accumulo di energia spirituale e pastorale, trattandosi di metter in moto un cambio del cuore, di riformare la pastorale, di partire con obiettivi, criteri, modalità ripensati e creativi, obbedendo alla fantasia e ai doni dello Spirito. Gli ultimi evocano la gioia del raccolto, il tempo della gratitudine e della lode, la festa per un Dio generoso. Il nostro “accompagnare” si trova nel bel mezzo, quasi a raccogliere lo sforzo ideativo iniziale insieme a quello teso alla speranza e alla fruttificazione. Un verbo vicino alla
sapienza e all’arte del coltivatore diretto, che attende con fiducia, che si prende cura del suo campo, che vigila e custodisce il misterioso e affascinante processo della crescita. Etimologicamente accompagnare è imparentato con compagno, ovvero cumpanis – colui che mangia lo stesso pane, per cui evocherebbe una amicizia, una commensalità, una vicinanza… in cammino, passo dopo passo, senza mollare, con undesiderio carico di fiducia.
LA LOGICA (VECCHIA) DEL FARE
Addentrandoci nelle faccende ecclesiali ed associative, si direbbe che l’accompagnare mal sopporta la fretta, l’ansia da prestazione, la mania di totalizzare numeri straordinari, il bisogno di performances favolose, gli amanti dell’audience e del vincere facile…
quello che tecnicamente si dovrebbe qualificare come “logica evenemenziale”, ovvero degli eventi con gli effetti speciali. Il superattivismo e lo stakanovismo in pastorale fanno ammalare, stufano sul medio termine e non evangelizzano nessuno, finendo infatti per mettere in circolazione facce da funerale. Decisamente interessante lo studio condotto da Paola Bignardi, ex presidente nazionale dell’Ac e membro dell’Istituto Toniolo dell’Università del Sacro Cuore, partendo dalla recente indagine sui seminaristi del Triveneto (in Rivista del Clero, 2/2023). Semplificando, la ricercatrice evidenzia come i giovani in formazione nei seminari aborriscano una parrocchia sovraccarica di attività, incapace di liberarsi da consuetudini e servizi ereditati dal passato. Una comunità parrocchiale che accumula progetti e iniziative, per la quale domina la regola del “si è sempre fatto così”, e che alla fine risulta stressante e per nulla appetibile. Eppure, paradossalmente nota la Bignardi il gruppo maggioritario dei seminaristi si autocandida a perpetuare il modello ricevuto, immaginandolo addirittura ulteriormente arricchito, nella convinzione immotivata che, con un surplus di entusiasmo e di vigore giovanile, le cose si metteranno per il giusto verso. Perciò, verrebbe da pensare che l’accompagnare non goda dimolto appeal, infatti coloro che intendono partire a razzo non saprebbero che farsene, sognando all’inverso messi oceaniche, e mal sopporterebbero ritardi, fragilità, slabbrature, senza peraltro avvedersi che i malanni andrebbero trasformati in occasioni formidabili di cambiamento e di speranza. Insomma, l’elogio della lentezza e della fragilità – come qualcuno lo definisce – non si addice ai presunti furbi e scaltri della pastorale (smart man).
LA CURA DELLE RELAZIONI
L’accompagnare si appella alla sensibilità spirituale evocata da Giacomo nella sua lettera attraverso una metafora agricola e
stagionale: «Siate dunque costanti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate all’agricoltore: egli aspetta con costanza
il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi. […] Noi chiamiamo
beati quelli che sono stati pazienti» (Gc 5,7-8.11). La pazienza, per noi l’accompagnare, viene chiamata macrothymia, ossia
animo grande e “lungo”. Essa andrebbe interpretata sulla scorta del Libro della Sapienza, avvicinandosi così a un atteggiamento che trattiene l’impulsività, la rincorsa al tutto-bene-subito, e che contiene un sano senso di realismo e di benevolenza.
La costanza cristiana è animata dalla speranza poiché si appoggia con fede alle promesse di Dio, mai fasulle e ingannatrici, le quali anticipano le operazioni umane. Traducendo ulteriormente, potremmo interpretare l’accompagnare come una forma di duplice cura. La prima forma, imprescindibile e già di per sé stessa vera azione pastorale – quindi non previa e propedeutica alla pastorale –, anzi la pastorale per eccellenza è la cura delle relazioni, da modularsi nella stima, nell’ascolto, nella fraternità e sororità, nell’esercizio della
paternità e della maternità, nella propensione alla misericordia, nella gioia. «Ecco,com’è bello e com’è dolce che i fratelli
vivano insieme!» (Sal 133,1). La seconda è un accompagnare che si declina in una cura generativa ed ecclesiale, che si concretizza nel fiutare e scovare, come abili rabdomanti, talenti, risorse e carismi gettati nel terreno dei battezzati, e non solo di essi. Nel linguaggio corrente si dovrebbe parlare di un’azione di scouting, di scoperta delle sorprese che lo Spirito semina, non con piglio funzionalista e organizzativo, ma con l’animo di colui a cui sta a cuore il bene vocazionale delle pecore, del gregge… delle donne e degli uomini di
oggi. Cura, svelamento, accompagnamento formativo, valorizzazione e messa in rete di antiche e nuove forme di ministerialità,
immaginando e desiderando la vita asso-cambio di passo ben fondato, gettando mente e creatività oltre l’ostacolo della solita lagnanza.
Evocando e parafrasando gli studi di Emanuele Severino, un grande filosofo del ‘900, dovremmo riconoscere che siamo figli della tecnica, della tecnologia, dell’intelligenza artificiale, la quale ha mandato a gambe all’aria il mito della fatica, affrancandoci dal pesante sacrificio per sostituirlo con altri miti e ideologie?! Siamo convinti che la strategia della costanza e dell’accompagnare possano essere tra gli
strumenti indispensabili per stare dentro alla complessità di oggi, senza agitarci senza nostalgie e senza fughe in avanti, con spirito gioioso e generativo
Don Fabrizio De Toni
Assistente centrale Settore adulti AC e Mlac
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Epifania, la festa dei cacciatori di stelle
Lo sguardo dei Magi è abbagliato dalla Luce e dalla gratuità del dono. Così anche noi abbiamo imparato come condividere, nei giorni natalizi e di Epifania, il pane della misericordia e dell’amicizia. L’assistente nazionale per il settore Adulti di Ac ci invita alla tavola dove si spezza il pane della speranza e della pace
Don Fabrizio De Toni
Assistente centrale Settore adulti AC e Mlac
Lavoro dignitoso in un “non luogo”
Il Mlac, appoggiato dall’intera Azione Cattolica di cui è espressione, è riuscito ad organizzare una celebrazione allargata della Giornata mondiale del lavoro dignitoso, presso l’Hilton Rome Airport, il 7ottobre, coinvolgendo più soggetti: responsabili, dipendenti, parroco e vescovo… Pastorale Sociale CEI con mons. Renna, un rappresentante dell’Oil, il ministro del lavoro. O meglio, per essere veritieri, si è lasciato incuriosire e coinvolgere da una location (Aeroporti di Roma) che – contrariamente a quanto ci si possa immaginare – investe parecchio nella cura delle relazioni, evitando la fretta e la superficialità. I sociologi amano indicare gli aeroporti, le stazioni dei treni, i porti, i centri commerciali come “non luoghi”. Sono simboli di una società dai ritmi frenetici e accelerati, di una umanità che si muove convulsa e sconclusionata, bramosa di produrre, di consumare, finendo così nell’agitazione e nella noia. Nei non luoghi pullulano monadi solitarie, connesse h24 attraverso i loro smart, alla ricerca di un oggetto, di un cancello, di una partenza e di un approdo senza posa e senza incontrarsi. Ascoltando le esperienze ed i progetti in atto ad Aeroporti di Roma la metafora del “non luogo” non calza. Sorpresa grande! La narrazione data da chi frequenta abitualmente Fiumicino, lavorandoci all’interno, restituiva lo scenario di uno spazio di condivisione, di amicizia, nello scambio fraterno di stima e cooperazione. Evidentemente esistono precarietà e limiti, ma ciò che emerge in ogni caso è un ambiente impegnato al welfare di comunità. Esiste insomma un sentimento di comunità, con la sua identità, che circola e viene alimentato tra dirigenti, forze dell’ordine, compagnie, società di servizi, che arrivano a totalizzare dai 35.000 ai 40.00 occupati.
Un luogo vero a questo punto, sicuro per chi eroga un servizio e nel contempo per quanti transitano, anch’essi per lavoro, per ragioni famigliari, per motivi di vacanza. L’impressione è di trovarsi di fronte ad una città in transito, ordinata e friendly. Il “ponte” che ci ha consentito di organizzare l’evento, in alleanza con la strana “città”, lo ha fatto don Giovanni Soccorsi, il giovane ed intraprendente parroco, assistente diocesano dell’AC e sostenitore del Mlac. Dall’esterno si stenta a credere, eppure le perplessità si sciolgono nel constatare di persona la fecondità di una presenza pastorale discreta, non urlata, segnata dal Vangelo della cura e dell’ospitalità.
Commovente sapere che la parrocchia all’interno dell’aeroporto, e con il concorso del medesimo, offre alloggio ad un gruppetto di migranti privi di protezione, i quali sono alla ricerca di una collocazione accettabile. Qualità tecnica dei servizi, prestigio dei brands
dell’aviazione, sforzo per un aumento quantitativo dei passeggeri, tuttavia ancor più sembra aver precedenza la qualità dei legami. Sta qui la ragione della trasformazione di un “non luogo” in un luogo umano e accogliente nel quale aumentano le motivazioni degli impiegati, le prestazioni, la sostenibilità e – guarda un po’ – la gratuità? In genere i “non luoghi” sono esclusi dall’attenzione ecclesiale, trattati quali zone residuali nelle quali non sprecare le (poche) energie. Invece, possono divenire insospettabili ambiti di sinodalità laica ed ecclesiale insieme. La speranza sembra decollare ed atterrare pure da queste parti. Andando all’antichità biblica, dove i voli al più erano delle esclusive ascensioni, Paolo al capitolo 27 del Libro degli Atti, durante una tragica navigazione, riesce ad agire da evangelizzatore in un “non luogo”: una imbarcazione zeppa di estranei viaggiatori. La barca si sfascia a poca distanza dalla spiaggia di Malta, eppure tutti si salvano grazie alla presenza dell’Apostolo che incoraggia, evangelizza… capitano simbolico perché nessuno si senta (s)perduto in un “non luogo”.
Don Fabrizio De Toni
Assistente centrale Settore adulti AC e Mlac
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Allegato – Newsletter Mlac 5-2022