Pastorale integrata

 

La riflessione circa la pastorale integrata è nata in Italia ed in Europa attorno agli anni ’80. Ora la letteratura è piuttosto consistente e su di essa ha sviluppato un pensiero autorevole il magistero della Chiesa, che a tal proposito esce dalla ‘vaghezza’ di cui molti operatori pastorali lo accusano e si fa ‘fresco’ e concreto. Per le nostre considerazioni ci rifacciamo alla Nota CEI del 1° Luglio 2004 ‘Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia’ ed in particolare al n° 11 della stessa.

 

Va detto da subito che i recenti documenti CEI, compresa la succitata Nota, confermano la bontà della realtà parrocchiale. Il reticolo parrocchiale con il suo inserimento e radicamento sul territorio in modo capillare rende la parrocchia essenziale. In Italia ha determinato la formazione di un cristianesimo popolare, non elitario, ed ora fatto oggetto di ripetuti studi in ambito europeo. La parrocchia consente l’accesso all’esperienza di fede narrata, celebrata, vissuta nella ferialità. Il campanile della Parrocchia, pur non così ‘evidente’ come in passato dove era simbolo potente di aggregazione e di appartenenza, sta ad indicare ancora una presenza che possiede forza dinamica. Quindi è giusto trattare con riconoscenza e rispetto la Parrocchia, che non va relegata tra i prodotti del passato o come una anticaglia di cui sbarazzarsi.

 

Tuttavia, eccola la precisa valutazione dei vescovi italiani, la parrocchia autosufficiente non tiene più. Le ragioni sono ovvie e sotto gli occhi di tutti. Ne elenchiamo alcune: contrazione rapida del clero, fenomeno dei battezzati lontani o appena sulla soglia, aumento dei non battezzati e dei non credenti, presenza massiccia di immigrati con la loro cultura e la loro tradizione religiosa, cristiani fai da te, sparizione del postcresima, nuove povertà… Tutto questo determina degli scenari e delle sfide inaffrontabili dalla singola parrocchia. Pensare che basti scuotere le coscienze e chiamare ad una ‘adunata’ attorno al campanile appare manovra votata ad essere inconcludente oltre che patetica. La quantità e la complessità delle nuova condizione per la parrocchia domanda ben altro.

 

Eccola allora motivata la proposta di una pastorale integrata. Non va scambiata per l’ultima chance disperata della barca chiesa che non riesce a tappare le falle, e non è nemmeno una costrizione dovuta ad una pressione esterna che non si riesce ad arginare altrimenti. Si tratta di una scelta voluta liberamente, frutto di un approfondito discernimento, che deve essere tradotta poi nell’operatività con pazienza e determinazione insieme. La pastorale integrata, e questo è un secondo argomento a suo favore che non viene dalle urgenze, appare come una opportunità provvidenziale che consente di riformare il volto della Chiesa in termini più aderenti alle intuizioni del Vat II.

 

Essa, prima che una tecnica e un agire, è una mentalità ecclesiale e pastorale. E’ come una sensibilità della mente, del cuore e della volontà. Insomma è una cultura creata dal gusto spirituale di interagire, di fare squadra tra preti e vescovo, tra preti e preti, tra preti/religiosi/diaconi e laici. E’ paragonabile ad una tessitura di relazioni intraparrocchiali, interparrocchiali, diocesane che si spingono a connettersi con i movimenti e le associazioni. Ci è dato con essa il piacere di suonare lo spartito del Vangelo attivando carismi, risorse, servizi e ministeri in modo armonico e comunionale.

 

Una volta descritto così, pur nella sua approssimazione, il profilo della pastorale integrata va detto che essa è destinata a tradursi soprattutto su due livelli: la Forania e l’Unità Pastorale. Ciò significa che le parrocchie si coalizzano in rete, fraternizzano e si attivano per coordinare la pastorale e renderla intraprendente e missionaria. In questo modo non ci si accontenta di arginare i problemi o di gestire l’esistente, ma si reagisce reimpostando l’assetto complessivo. L’ipotesi più probabile per dare consistenza effettiva ai due livelli appare essere quella di attribuire alla Forania il compito di essere luogo per la fraternità presbiterale e per la formazione di primo livello, mentre all’Unità Pastorale quello di strumento per organizzare la pastorale giovanile, famigliare e delle azioni rivolte ai lontani. Il convegno di Verona del 2006 ha individuato 5 ambiti da abitare pastoralmente: la vita affettiva ed emotiva, la fragilità e il disagio, il lavoro e la festa, la tradizione passata e recente, la cittadinanza.

 

I vescovi agganciano sempre alla strategia della pastorale integrata una seconda scelta, che appare consequenziale e necessaria: la scelta della corresponsabilità. Per effettuare il passaggio dalla collaborazione alla corresponsabilità è necessario superare una immagine di prete ‘nordico’ superattivo ed intraprendente, che pensa in anticipo i progetti, chiedendo tutt’al più e a cose fatte dei consigli, ed emana poi disposizioni e ordini per realizzarli tentando di coinvolgere il maggior numero possibile di laici. Quindi ci si augura di poter passare da un vitale organizzatore e distributore di compiti ad una regia pastorale dove i laici possano condividere la responsabilità sin da subito: nell’analisi, nel discernimento, nella individuazione degli obiettivi, delle strategie, delle iniziative, nelle decisioni e nella conduzione dei progetti. Se all’interno di un Consiglio Pastorale ci si limita ad informare e a comunicare, a trovare soluzioni operative su bisogni già valutati ed interpretati altrove mortifichiamo certamente la corresponsabilità. Essa amalgama sapientemente risorse e consente loro di esprimersi, rivitalizza, potenzia e diversifica l’offerta pastorale, crea solidarietà nella responsabilità. Al pastore competerà la regia della corresponsabilità, a lui viene chiesto di incoraggiare. Ritengo non ci sia nulla da perdere per il parroco nel lavorare dietro le quinte, divenendo il primo interlocutore dello Spirito Santo che ama arricchire la comunità e metterla in connessione. Interpretata  così la corresponsabilità, al parroco non viene chiesto di lavorare di più o di meno, ma in termini diversi, meno solitari, più creativi e ci permettiamo di aggiungere, forse anche più distensivi. Una affascinante e promettente prospettiva anche per la nostra Chiesa diocesana.

 

Intervento fatto al Consiglio Pastorale Diocesano del 22.02.2013

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