Comunità che celebra e condivide

L’ “oggetto” del celebrare e del condividere è ovviamente la fede, ‘porta’ di accesso al Mistero. La nostra Chiesa locale si è impegnata per declinare su tre anni il dono della fede: fede vissuta, fede celebrata e condivisa (Anno Pastorale 2013-2014), fede testimoniata. Annunciamo che il 18 Giugno presso la Cattedrale di Concordia, il 19 Giugno presso la Concattedrale di San Marco in Pordenone, il 20 Giugno presso il Duomo di Maniago alle ore 20.30 sarà consegnato il Progetto Pastorale Diocesano 2013-2014 ai sacerdoti, ai Vicepresidenti dei Consigli Pastorali Parrocchiali e agli operatori pastorali. Il volumetto con il PPD conterrà anche l’Instrumentum Laboris per il riassetto diocesano e la Costituzione Conciliare sulla Sacra Liturgia ‘Sacrosanctum Concilium’. La liturgia celeste di Ap. 4-5 è la fonte ispirativa e lo sfondo integratore dell’intero nuovo PPD. In essa sono rintracciabili le due dimensioni del celebrare e del condividere. La liturgia dell’Agnello, che viene descritta, intende dare le chiavi per aprire, per interpretare la storia dell’uomo, come storia governata da Cristo morto e risorto. La liturgia che celebriamo ritmicamente, ad iniziare da quella domenicale, ha la pretesa di consegnarci le chiavi per leggere il destino dell’uomo e il senso della vita. I ventiquattro anziani evocano gli ‘adulti’ nella fede che nel passato e nel presente consentono alla fede di essere trasmessa e ricevuta, ‘condivisa’ appunto. Essi richiamano le mediazioni ordinarie e vere che Dio attiva per raggiungerci. Il PPD e l’Instrumentum Laboris, con il quale va saldato, intendono accompagnare la nostra Chiesa locale a realizzare una ‘pastorale integrata’, della corresponsabilità e dal forte timbro missionario. Ora, perché questa tipologia di pastorale, ‘varata’ con chiarezza dai vescovi italiani con il bel documento del 2004 ‘Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia’, possa divenire mentalità condivisa, modus operandi ordinario, cultura insomma, occorrono a mio avviso almeno tre elementi. Essi debbono concorrere insieme e richiamarsi reciprocamente. Per una pastorale della condivisione e della missione è necessario innanzitutto avere delle idee, degli obiettivi, degli elementi oggettivi. L’elemento dell’ “oggettività” è contenuto e offerto dal PPD e dall’Instrumentum Laboris. In secondo luogo, non può mancare l’elemento della “sensibilità”. E’ indispensabile metterci passione, cuore e convinzione. Partire scarichi e incerti vanificherebbe il progetto complessivo. Si potrebbe riprendere il titolo di un celebre romanzo di Susanna Tamaro ‘Và dove ti porta il cuore’ per reimpostarlo nel nostro contesto dicendo: ‘Và e fa battere il cuore per i sogni della tua Chiesa’. L’ultimo elemento è quello di una seria “pedagogia”, anch’essa presente nei due strumenti pastorali. Essa disegna i passi e le operazioni concrete per avvicinarci agli obiettivi scelti. Direi che quest’anno uno dei punti sui quali si è trovata una importante sintonia è quello delle ‘proposte concrete’. E’ la dimensione pedagogica che garantirà la praticabilità di un progetto. Buon cammino!

(Articolo pubblicato sul settimanale diocesano Il Popolo del 16.06.2013)

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Il potere… di amare

Audio Omelia 02.06.2013

Domenica 2 giugno 2013

Letture:  1 Re 8,41-43; Sal 116; Gal 1,1-2.6-10; Lc 7,1-10

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte queste parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao. Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro giunti da Gesù lo pregavano con insistenza: «Egli merita che tu gli faccia questa grazia, dicevano, perché ama il nostro popolo, ed è stato lui a costruirci la sinagoga».
Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono uomo sottoposto a un’autorità, e ho sotto di me dei soldati; e dico all’uno: Va’ ed egli va, e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa».
All’udire questo Gesù restò ammirato e rivolgendosi alla folla che lo seguiva disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.

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Corpo di Cristo

Audio Omelia 30.05.13 Corpus Domini

Giovedì 30 maggio 2013

Letture: Gn 14, 18-20; Sal 109; 1 Cor 11, 23-26; Lc 9, 11b-17

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

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Il Biennio è un bell’affare!

Ricordo come il Biennio per Coordinatori Pastorali fu una delle conclusioni più significative maturate durante i lavori del Convegno Ecclesiale del 2005. Allora nel linguaggio informale si parlava di ‘coperta corta’, ovvero di una riduzione numerica del clero accompagnata dal suo progressivo invecchiamento. Si avvertiva la necessità di dotarsi di uno strumento formativo per provvedere laici che potessero inserirsi come ‘quadri’ medi e medio alti della vita pastorale ordinaria. Oggi, nell’orizzonte imminente del riassetto di Unità Pastorali e di Foranie, e consapevoli maggiormente dell’identità laicale, a cui spetta non solamente l’animazione delle realtà della storia, ma anche di prendere parte attiva e responsabile alla missio della Chiesa, la bontà del Biennio per Coordinatori Pastorali appare ancor più evidente. A mio parere tale itinerario formativo ha un carattere strutturale. Non si limita infatti a degli assaggi veloci di teologia e di progettazione pastorale, ma si presenta con l’ambizione di fornire una serie di competenze e di professionalità che consentano di porsi in un servizio di animazione, di coordinamento e di accompagnamento delle comunità parrocchiali in stretta alleanza con i presbiteri. Da parroco mi è sempre piaciuto sin dall’inizio favorire il Biennio e indirizzare laici che ritenevo potessero maturare una visione complessiva della realtà ecclesiale, avvertendone fin da subito l’amore per la Chiesa e un certo spirito intraprendente. Da una prospettiva diocesana la motivazione positiva che mi ispirava si è rafforzata ulteriormente. Commuove vedere come dei trentenni/quarantenni dopo una giornata di lavoro e di faccende famigliari, arrivando cotti ed esausti alla Madonna Pellegrina di Pordenone, improvvisamente si rianimino con entusiasmo, e rientrino a casa con la sensazione gradevole di essere stati incoraggiati e arricchiti. Il valore della squadra dei loro formatori, ad iniziare dal don Fermo, e il carattere attivo/laboratoriale del percorso evidentemente sono uno degli elementi che garantiscono la qualità dell’offerta formativa. Forse, come sostengono alcuni pastoralisti, il laicato italiano dà l’impressione di essere come un gigante addormentato, il quale se svegliato di soprassalto potrebbe prendersi una botta in testa e combinare grossi guai. Sono convinto che si tratta di uno scotto da pagare se vogliamo interagire con un interlocutore ‘sveglio’ e che impara a stare in piedi. Più che uno scenario preoccupante, o addirittura minaccioso, vi vedo la straordinaria opportunità di essere padri di ‘figli’ che domandano, e ai quali domandiamo, di essere adulti e corresponsabili nel grande cantiere della fede.

(Articolo pubblicato nell’inserto ‘Speciale’ del  settimanale diocesano “Il Popolo” di domenica 2 giugno 2013)

 

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Lo Spirito, il Catechista che genera comunione

Audio Omelia 19.05.13

Domenica 19 maggio 2013

Letture:   At 2, 1-11; Sal 103; Rm 8, 8-17; Gv 14, 15-16. 23-26

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».  

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L’odore delle pecore

 

Sento il piacere di condividere due mie valutazioni sul prete come pastore che, come afferma con naturalezza e fermezza l’attuale pastore Francesco, dovrebbe portare su di sé, sulla pelle e i vestiti della propria anima l’odore delle pecore. Sono convinto che nel clima culturale di oggi, presente nei prati delle parrocchie ‘medie’, il pastore è chiamato ancor più di un tempo ad essere abile nelle relazioni. Con questo non intendo dire ruffiano, gentile, carino, accattivante, scaltro e sveglio. Sarebbe solo un primo step, riduttivo ed insufficiente. Se il parroco si mettesse in testa di apparire a tutti i costi premuroso e gradito finirebbe col diventare la caricatura di se stesso e, prima o poi, farebbe i conti con la realtà che non risparmia a nessuno le sue durezze e… scoppierebbe. Per prete relazionale, abile e capace nelle relazioni penso ad accogliente, empatico, evangelicamente interessato, capace di ascoltare e di mettersi a servizio. La competenza cordiale e vera nelle relazioni è assolutamente centrale e necessaria. Prova ne è che quanti hanno delle fatiche e freddezze relazionali compromettono l’esito della loro pastorale, si incasinano e incasinano il prossimo. Inoltre un pastore che non si limita a proteggere il gregge, ma lo alimenta e lo incrementa in qualità, e perché no in numero, è uno che non temerei di definire ‘talent scout’, ovvero scopritore di talenti (spirituali). E quindi un uomo che ha fiuto per i talenti seminati con abbondanza dallo Spirito, un collaboratore stretto dello Spirito. Una volta scovati li dissotterra, li spinge a connettersi con gli altri, a trasformarsi in ricchezza da condividere. Che disgrazia incontrare un pastore che ambisce ad una eccessiva autonomia, che si arrangia da sé e si fa pure vanto di questo. E che gioia quei pastori che stanno tra le pecore, tra i loro odori, non lasciandosi scappare nulla di ciò che è buono, di ciò che possiedono perché circoli come latte fresco e patrimonio di tutto il gregge e di ogni altro gregge.

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La prima volta



Vorrei spendere una parola per incoraggiare il cammino appena avviato per il riassetto delle Foranie e delle Unità Pastorali, che per noi è contenitore e sostanza nello stesso tempo dell’azione pastorale. Un prete amico mi raccontava le sue perplessità in merito alla visione di Chiesa e alle proposte operative che emergono dall’Instrumentum Laboris, documento che guiderà lo studio e l’implementazione della riorganizzazione diocesana.

Mi chiedo perché non di rado quando parliamo di cor-responsabilità, di con-divisione, di com-unione, di in-tegrazione (tutti termini che evocano dialogo e scambio) facciamo fatica a commuoverci. Il cuore appunto non si muove e non proviamo attrazione ed entusiasmo. La mente tutt’al più riconosce che l’operazione delle Unità Pastorali è necessaria, dovuta, razionale, ma non vi si vede e non si gode per una visione di Chiesa che vi sottende. Tra le ragioni di questa reazione spirituale e pastorale insieme vi scorgo un paio di ‘virus’ che ci irrigidiscono come la corazza di Davide prima di ingaggiare battaglia contro Golia.
Ricordo un giovane prete milanese che conobbi. Allora aveva sui trent’anni. Mi confidò che stava percorrendo un itinerario personale di conversione e di revisione di vita accompagnato da dei sacerdoti esperti. Mi rivelò che con suo sommo stupore stava provando come una gioia che gli dilatava le pareti del cuore, quasi da fargli male, fino a portarlo alle lacrime. Sentiva che dentro di sé poteva ospitare il mondo, mentre prima era tutto preso dalle sue perfezioni personali. Mentre esperimentava la libertà dal suo individualismo, era attratto dalla bellezza della fraternità e della comunione.
Eccola qui la prima ‘bestia’, l’autoreferenzialità, in alcuni talmente sottile da sfuggire agli stessi interessati che ci impedisce di essere autenticamente affascinati dall’Altro e dagli altri, senza infastidirci o spaventarci delle loro differenze, anzi lasciandocene incantare.
Ho letteralmente ‘bevuto’ un recente saggio sull’uomo tecno liquido di Tonino Cantelmi della Lumsa di Roma. L’uomo contemporaneo, tecno liquido così lo chiama, figlio di internet ama contatti leggeri (light), liquidi, non impegnativi, blandi e difficilmente si impegna in relazioni vere. Porta nel suo smartphone migliaia di indirizzi mail e di numeri di cellulare, ma in realtà stabilisce solo delle connessioni virtuali che può spegnere con un click. Entrare in un circuito di confronto, di corresponsabilità, di ascolto paziente, di tessitura comune, di relazioni veraci diviene così per taluni una impresa improbabile per la quale non merita rischiare e scommettere più di tanto. Se sapremo sbarazzarci di tale corazza saremo liberi di procedere. Sarò anche rincitrullito, ma a me pare che l’impresa di metterci in rete domanda oltre che intelligenza e professionalità un sacco di desiderio, insomma è una faccenda di innamoramento per tutto ciò che sa di Comunione, dalla quale siamo fatti e per la quale siamo fatti.

Don Fabrizio
(tratto da ‘Collegamento Pastorale’ supplemento de ‘il Popolo’ – Diocesi Concordia-Pordenone)

 

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Noi, popolo, ‘strumento’ di Dio

Audio Omelia 12.05.13

Domenica 12 maggio 2013

Letture:  At 1,1-11; Sal 46; Eb 9,24-28; 10,19-23; Lc 24,46-53

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo gior­no, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

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Promessa di gioia

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo gior­no, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio. (Lc.24, 46-53)

Oggi contempliamo e ci immergiamo di fatto nel mistero dell’Ascensione. È una esperienza che non riguarda solo il Signore Gesù risorto e che noi ammiriamo stupiti. I padri della Chiesa ci insegnano che non solo Gesù è entrato nel futuro di Dio, ma anche noi siamo entrati in questo futuro insieme con lui. Ovvero un pezzetto di umanità si è annidato nel mondo di Dio, e noi essendo agganciati a questo pezzetto siamo misteriosamente già approdati nella casa di Dio. C’è motivo per aprirci alla speranza. Non siamo destinati dopo la morte a cadere in verticale per sfracellarci su rocce laceranti, ma ad essere accolti come figli nella casa della Trinità. Ancora i padri assicurano che la sua ‘partenza’, la sua ascensione (i nostri vecchi parlavano di ‘Asensa’) non vanno intesi come abbandono e lontananza. Così si esprime San Leone Magno Papa: ‘(Il) Verbo pur discendendo dal Padre, non l’aveva mai lasciato, e, pur risalendo al Padre, non si era allontanato dai discepoli’. Oltre alle ‘mediazioni’ classiche attraverso le quali il Risorto ci raggiunge e condivide le nostre vite, ve n’è una ordinaria che non va trascurata. Si tratta delle nostre relazioni. Se noi viviamo relazioni buone, coerenti con il Vangelo, animate dalla fede, queste relazioni divengono canali che consentono al Risorto di agire, di incontrarci, di esserci compagno di strada. Osservate cosa sta accadendo con papa Francesco. I suoi gesti verbali e non verbali, come la richiesta di preghiera per sé e il bacio per gli ultimi, hanno creato un’onda di commozione  e di fiducia. Non credo si tratti solo di effetto mediatico ed emotivo. Papa Bergoglio è un uomo  e un credente che vivendo in autenticità e semplicità il Vangelo diviene mediazione del Risorto. Quando la mediazione è pulita  e senza disturbi, noi veniamo raggiunti dalla presenza del Risorto e non possiamo non provare consolazione e gioia. Concludo con un riferimento al Gesù raccontato da Giovanni durante la cena di addio. Egli assicura ai suoi discepoli che la tristezza per il distacco si muterà in gioia. È una promessa che vale già ora, per l’oggi. Com’è vero che le prove, gli affanni, le tristezze possono sciogliersi in gioia. Processo che non si verifica automaticamente o per effetto di qualche preghierina. Non va confuso con la raccomandazione di stringere i denti perché tanto prima o poi il tempo farà il suo corso e tornerà il sereno. È la stessa tristezza che paradossalmente potrà generare gioia se diviene la scuola dove noi impariamo a fidarci e ad affidarci a Colui che della gioia è il datore.
(Commento al Vangelo pubblicato su Le Voci – settimanale delle parrocchie di Villotta-Basedo, Fagnigola, Chions).

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