La virtù della costanza

Un verbo vicino alla sapienza e all’arte del coltivatore diretto, che attende con fiducia, si prende cura del suo campo, vigila e custodisce il processo della crescita. “Accompagnare”: il verbo che è in cammino con noi, nella pastorale e nella vita

Per inquadrare la breve riflessione sul verbo “accompagnare”, uno dei verbi da interpretare e da applicare per una Chiesa in uscita, e che troviamo nell’esortazione Evangelii Gaudium al n. 24, è opportuno richiamare i verbi che precedono: prendere l’iniziativa, coinvolgersi; e che seguono: fruttificare e festeggiare. Tutte parole e azioni che possiedono una qualità dinamica, ovvero impossibile  vietato “fare la nanna”, addormentarsi in una tristezza dolciastra, poiché la missione urge, il Vangelo domanda di essere narrato e di correre. I primi verbi impongono un accumulo di energia spirituale e pastorale, trattandosi di metter in moto un cambio del cuore, di riformare la pastorale, di partire con obiettivi, criteri, modalità ripensati e creativi, obbedendo alla fantasia e ai doni dello Spirito. Gli ultimi evocano la gioia del raccolto, il tempo della gratitudine e della lode, la festa per un Dio generoso. Il nostro “accompagnare” si trova nel bel mezzo, quasi a raccogliere lo sforzo ideativo iniziale insieme a quello teso alla speranza e alla fruttificazione. Un verbo vicino alla
sapienza e all’arte del coltivatore diretto, che attende con fiducia, che si prende cura del suo campo, che vigila e custodisce il misterioso e affascinante processo della crescita. Etimologicamente accompagnare è imparentato con compagno, ovvero cumpanis – colui che mangia lo stesso pane, per cui evocherebbe una amicizia, una commensalità, una vicinanza… in cammino, passo dopo passo, senza mollare, con undesiderio carico di fiducia.

LA LOGICA (VECCHIA) DEL FARE

Addentrandoci nelle faccende ecclesiali ed associative, si direbbe che l’accompagnare mal sopporta la fretta, l’ansia da prestazione, la mania di totalizzare numeri straordinari, il bisogno di performances favolose, gli amanti dell’audience e del vincere facile…
quello che tecnicamente si dovrebbe qualificare come “logica evenemenziale”, ovvero degli eventi con gli effetti speciali. Il superattivismo e lo stakanovismo in pastorale fanno ammalare, stufano sul medio termine e non evangelizzano nessuno, finendo infatti per mettere in circolazione facce da funerale. Decisamente interessante lo studio condotto da Paola Bignardi, ex presidente nazionale dell’Ac e membro dell’Istituto Toniolo dell’Università del Sacro Cuore, partendo dalla recente indagine sui seminaristi del Triveneto (in Rivista del Clero, 2/2023). Semplificando, la ricercatrice evidenzia come i giovani in formazione nei seminari aborriscano una parrocchia sovraccarica di attività, incapace di liberarsi da consuetudini e servizi ereditati dal passato. Una comunità parrocchiale che accumula progetti e iniziative, per la quale domina la regola del “si è sempre fatto così”, e che alla fine risulta stressante e per nulla appetibile. Eppure, paradossalmente  nota la Bignardi il gruppo maggioritario dei seminaristi si autocandida a perpetuare il modello ricevuto, immaginandolo addirittura ulteriormente arricchito, nella convinzione immotivata che, con un surplus di entusiasmo e di vigore giovanile, le cose si metteranno per il giusto verso. Perciò, verrebbe da pensare che l’accompagnare non goda dimolto appeal, infatti coloro che intendono partire a razzo non saprebbero che farsene, sognando all’inverso messi oceaniche, e mal sopporterebbero ritardi, fragilità, slabbrature, senza peraltro avvedersi che i malanni andrebbero trasformati in occasioni formidabili di cambiamento e di speranza. Insomma, l’elogio della lentezza e della fragilità – come qualcuno lo definisce – non si addice ai presunti furbi e scaltri della pastorale (smart man).

LA CURA DELLE RELAZIONI

L’accompagnare si appella alla sensibilità spirituale evocata da Giacomo nella sua lettera attraverso una metafora agricola e
stagionale: «Siate dunque costanti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate all’agricoltore: egli aspetta con costanza
il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi. […] Noi chiamiamo
beati quelli che sono stati pazienti» (Gc 5,7-8.11). La pazienza, per noi l’accompagnare, viene chiamata macrothymia, ossia
animo grande e “lungo”. Essa andrebbe interpretata sulla scorta del Libro della Sapienza, avvicinandosi così a un atteggiamento che trattiene l’impulsività, la rincorsa al tutto-bene-subito, e che contiene un sano senso di realismo e di benevolenza.
La costanza cristiana è animata dalla speranza poiché si appoggia con fede alle promesse di Dio, mai fasulle e ingannatrici, le quali anticipano le operazioni umane. Traducendo ulteriormente, potremmo interpretare l’accompagnare come una forma di duplice cura. La prima forma, imprescindibile e già di per sé stessa vera azione pastorale – quindi non previa e propedeutica alla pastorale –, anzi la pastorale per eccellenza è la cura delle relazioni, da modularsi nella stima, nell’ascolto, nella fraternità e sororità, nell’esercizio della
paternità e della maternità, nella propensione alla misericordia, nella gioia. «Ecco,com’è bello e com’è dolce che i fratelli
vivano insieme!» (Sal 133,1). La seconda è un accompagnare che si declina in una cura generativa ed ecclesiale, che si concretizza nel fiutare e scovare, come abili rabdomanti, talenti, risorse e carismi gettati nel terreno dei battezzati, e non solo di essi. Nel linguaggio corrente si dovrebbe parlare di un’azione di scouting, di scoperta delle sorprese che lo Spirito semina, non con piglio funzionalista e organizzativo, ma con l’animo di colui a cui sta a cuore il bene vocazionale delle pecore, del gregge… delle donne e degli uomini di
oggi. Cura, svelamento, accompagnamento formativo, valorizzazione e messa in rete di antiche e nuove forme di ministerialità,
immaginando e desiderando la vita asso-cambio di passo ben fondato, gettando mente e creatività oltre l’ostacolo della solita lagnanza.
Evocando e parafrasando gli studi di Emanuele Severino, un grande filosofo del ‘900, dovremmo riconoscere che siamo figli della tecnica, della tecnologia, dell’intelligenza artificiale, la quale ha mandato a gambe all’aria il mito della fatica, affrancandoci dal pesante sacrificio per sostituirlo con altri miti e ideologie?! Siamo convinti che la strategia della costanza e dell’accompagnare possano essere tra gli
strumenti indispensabili per stare dentro alla complessità di oggi, senza agitarci senza nostalgie e senza fughe in avanti, con spirito gioioso e generativo

Don Fabrizio De Toni

Assistente centrale Settore adulti AC e Mlac

Articolo pubblicato su

Segno 2-2023_  bassa

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