Lui sta a casa con te!

In un tempo di prova generata dal Covid gli occhi del cuore sembrano spegnersi e chiudersi. La narrazione della guarigione del cieco nato ci esorta alla speranza. Dio può farci sperimentare la grazia dell’apertura degli occhi per contemplare la bellezza della vita e prenderne parte… insieme con Lui. Occhi che si chiudono, occhi che si aprono alla speranza! (Don Fabrizio De Toni)

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La lectio divina che trasforma la vita

Pochi sanno che la lectio divina, la lettura credente o, se si preferisce, pregata della Parola è… preghiera. Non solo viene riconosciuta come una pratica spirituale, altamente raccomandata dal Concilio Vat. II, che la definisce ‘lettura spirituale’ (DV 25), ma è una forma di preghiera essa stessa. Anzi, per certi versi, da una prospettiva biblica, è la preghiera.

            Normalmente la preghiera, la relazione con il Signore, la immaginiamo come una linea che va dal piccolo all’immensamente grande, dalla creatura al Creatore, dall’uomo a Dio, che sale come una freccia in verticale, cosa certamente corretta. Tuttavia, indagando nella Scrittura, la preghiera prima ancora dovrebbe essere esattamente l’inverso. L’orazione si sviluppa come un movimento che procede da Dio verso l’uomo. Dio prende la parola, non se ne sta muto e desidera che i figli si pongano in ascolto. Quindi, può essere idealmente concepita come ascolto fiducioso della Parola. A conferma di tale limpida verità, rammentiamo che le prime due parole del ‘Padre nostro’ ebraico (il celebre Shemà), da recitarsi al risveglio del mattino e alla sera prima di coricarsi, sono esattamente: “Ascolta Israele”. Se ci pensiamo bene, il Signore stesso prende le parti di un affettuoso e paziente genitore con i piccoli di casa per ragguagliarci: “Sentite un pò! Prima di chiedere che Dio ci ascolti, mettiamoci noi in ascolto di Dio. Questa è la preghiera migliore!”.

            Ha un gran bel daffare Papa Francesco nell’insistere sulla lettura del vangelo. Lui stesso, con pratiche ultra concrete, alla latinoamericana, ha distribuito ripetutamente piccoli vangeli in versione tascabile. Quasi un gesto educativo per incoraggiarci alla preghiera per eccellenza. Ricordo come nel dopo Concilio ci fu un pullulare di gruppi del Vangelo, incontri biblici, percorsi di esegesi, e più tardi gruppi veri e propri di lectio divina, che tuttavia rimasero su un piano di interesse prevalentemente culturale per la Sacra Scrittura, ma non innescarono una consuetudine diffusa e popolare di lettura pregata della Parola. Rigorosamente ragionando, l’assenza di tale pratica fu e si rivela tutt’ora un disastro pastorale e formativo. Il Concilio stesso riporta in merito una lapidaria sentenza di San Girolamo, un gigante tra i Padri della Chiesa: “L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo”. Terribile!

            In una Unità Pastorale ho avuto la grazia di sperimentare per tre anni consecutivi, senza interruzione nemmeno estiva, ogni settimana, la lectio divina sulle letture domenicali. Lettura, meditazione, orazione, contemplazione erano i passi ripetuti per ascoltare i testi. La sana abitudine e il ritmo consentirono ad alcuni giovani e adulti che vi parteciparono di apprendere una lectio divina individuale e quotidiana, della durata di tre quattro minuti non di più, sul vangelo del giorno. E i frutti non tardarono ad arrivare. Posso testimoniare con gioia consolante di aver toccato con mano quanto sia vera l’espressione ‘Scripturae faciunt christianos’ (le Scritture fanno i cristiani), che parafrasa un passaggio di San Agostino. Tra gli argomenti che utilizzo per ribattere all’obiezione che la lectio divina è una proposta buona e possibile solo per monaci, preti e suore, ma non per laici presi dal vortice dell’epoca post moderna, questo è quello che utilizzo maggiormente, essendo esito di una esperienza diretta.

            Ecco perciò la prima trasformazione operata dalla lectio divina, dalla preghiera con e del Vangelo. Si può superare una devozione fatta di preghiere mandate a memoria, di rosari, di novene, di pellegrinaggi, di gesti rituali per approdare ad una devozione che, senza smettere ciò che ha imparato, lo integra dandogli radici e solidità con la preghiera della Parola, la quale a scanso di equivoci per l’ennesima volta va precisato essere preghiera per antonomasia.

            Ve ne è una seconda di trasformazione da mettere in evidenza, che riguarda il discernimento. Mi impressiona come nell’affrontare le sfide della vita accada che non di rado si smarrisca la capacità di una lettura di fede, anzi come talvolta si perda in umanità e ci si dimentichi addirittura del buon senso. Ecco la necessità e l’urgenza di trasformare il cuore, di renderlo sensibile sino a provare gli stessi sentimenti e gusti del cuore di Gesù. La lectio divina obbedisce dopo tutto alla dinamica e al metodo che gli adulti di AC conoscono da tempo nei loro percorsi formativi, ovvero all’interazione ‘vita-parola-vita’. La Parola letta e ascoltata da credenti funziona come una chiave che permette di ‘aprire’, di decodificare la vita con il suo mistero. Nel salmo 199, il più lungo di tutto il salterio, al versetto 105 si recita: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”. Nell’antica Roma esisteva la figura del ‘servus lampadarius’. Egli precedeva i padroni di notte di qualche metro, non di più, con una torcia per favorire l’appoggio sicuro dei passi.

            Senza voler eccedere e prendersi delle indigestioni per scorpacciate bibliche, invito a sperimentarsi e a ritagliarsi tre minuti quotidiani per scrutare la pagina evangelica del giorno. Sarà come la porzione di manna nel deserto per avanzare nel cammino nutriti e fiduciosi. La Parola adagio adagio trasfigura. Non per nulla, “la mia dottrina… come pioggia leggera sul verde, come scroscio sull’erba” (Dt 32,2), purifica le motivazioni, orienta, converte, sagoma i desideri, plasma la sensibilità, modifica i gusti tanto da poter assumere il medesimo ‘palato’ di Cristo. Non si pensi che questa sia meta riservata ad anime elette o a mistici inarrivabili. Paolo nella lettera ai Filippesi, la comunità preferita, esorterà tutti i cristiani, nessuno escluso, con la celeberrima espressione: “Abbiate in voi i medesimi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5). Una interiorità educata evangelicamente saprà operare un discernimento evangelico, appunto. Non cadremo in valutazioni rozze, in una spiritualità mondana e tiepida, vittime di idolatrie che ci allontanano da Dio e da ciò che è vero, buono e giusto. Una trasformazione in profondità germoglierà e fiorirà all’esterno, maturerà i frutti del Regno nella porzione di storia affidataci. Provare per crederci e… sarà primavera!

don Fabrizio De Toni

Assistente Nazionale del settore Adulti di Azione Cattolica

(Articolo tratto dalla rivista trimestrale dell’Azione Cattolica italiana Segno nel Mondo – n. 3/2019)

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Gesù difende questa prassi di misericordia che viene da un cuore materno che è il grembo del Padre

Video commento del Vangelo di Domenica 15 settembre 2019 (Lc 15,1-32):

Dal Vangelo di Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

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Rimbocchiamoci le vesti e mettiamoci al servizio incontreremo un Dio che ci ha preceduto

Video commento del Vangelo di Domenica 11 agosto 2019 (Lc 12,32-48):

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

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Lectio divina? Bastano tre minuti al giorno…

Non serve essere monaci o preti per apprendere alla lectio divina, vera preghiera quotidiana. Ogni laico infatti può trovare uno spazio “giusto” per la propria lectio ogni giorno.  Nel prossimo numero di Segno nel mondo (in uscita a breve on line e disponibile in cartaceo a fine mese)  troverete un mio approfondimento su questo tema.

Don Fabrizio De Toni, assistente nazionale per il settore Adulti di Ac.

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Per questa conversione pastorale ci vuole una carica di fede e di Spirito Santo notevole.

Video commento del Vangelo di Domenica 7 luglio 2019 (Lc 10,1-12.17-20):

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città». I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

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Lo Spirito ci immette in un circuito di popolo, di fraternità e di comunità.

Video commento del Vangelo di Domenica 9 giugno 2019 – Domenica di Pentecoste (Gv 14,15-16.23-26):

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

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I sogni di Dio sulla città

Dal 3 al 5 maggio, a Chianciano Terme (SI), si è tenuto il Convegno Nazionale delle Presidenze diocesane di Azione Cattolica dal titolo “Un popolo per tutti. Riscoprirsi fratelli nella città”. 

Il Convegno si è aperto con una Liturgia della Parola. Nella lectio si è messo a confronto il racconto biblico della torre di Babele (Gen 11,1-9) con la Pentecoste, ovvero l’anti-Babele (At 2,1-11), evocando le sfide della città (umanità) contemporanea.

Audio della breve Lectio di Don Fabrizio De Toni (assistente per il settore adulti di Ac ed assistente del Mlac)

Genesi 11,1-9 

Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro». Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.

Atti 2,1-11

Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. 6 Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia,  della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio».

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