Il don Ruggero associativo


Roveredo in Piano (PN) – Parrocchia di San Bartolomeo

Sabato 28 settembre 2019, in occasione del 50° di Ordinazione presbiterale di don Ruggero Mazzega, è stato presentato il libro “…e diede frutto” a cura di Enri Lisetto che raccoglie testimonianze e foto sulla vita di don Ruggero.

Di seguito un mio contributo entrato nella pubblicazione.

Don Ruggero, più confidenzialmente conosciuto un tempo, nel giro degli amici giovani, come il ‘don Rugi’, negli anni della sua militanza da Assistente diocesano del Settore giovani di Azione Cattolica sarà un prete che si farà apprezzare e amare in fretta. Un pastore che odora di pecora, ed in tal senso quindi un anticipatore del profilo di ministro di Dio tanto caro al magistero di Papa Francesco. Le sue pecorelle le conosce ad una ad una per nome, se le coccola incoraggiandole senza tuttavia negare una parola franca, in nome di ciò che è vero, buono e giusto. Nelle poche note che seguono, intese a tentare un abbozzo del suo profilo, cerco di dar voce quasi letteralmente alle memorie e ai commenti dei giovani dirigenti dell’AC diocesana d’allora. Don Ruggero lo si potrebbe definire ‘polare’, ovvero da una parte cordiale e dall’altra fermo, sorridente ma non melenso, energico e nel contempo portato alla virtù della mediazione, attento alle persone e fedele ai cammini e al bene della chiesa, dalla prossimità paterna eppure non invadente. Talvolta uscivano poche parole dalla sua bocca e tuttavia erano dirette ed efficaci, ne facevano di lui una figura di presbitero essenziale e pragmatico senza scadere dalla saggezza che lo contraddistingueva. Il suo genere letterario come catecheta e omileta era ispirato alla dimensione esperienziale, assolutamente lontano da forme involute o retoriche. Desiderava in modo sommo di assecondare i sogni dello Spirito, e perciò non si sottraeva ad una parola di parresia e di conversione, insomma era un ‘bel’ tipo. Non si dimentichi che la dizione di ‘buon pastore’ secondo il vangelo di Giovanni in realtà andrebbe corretta in ‘bel pastore’, naturalmente nulla a che spartire con il ‘bello’ superficiale e scontato del senso comune. La sua compagnia e il suo accompagnamento formativo sono cercati. E’ una presenza che rilassa, mette di buon umore e alimenta la fiducia. Già parroco di Lestans viene chiamato ad inserirsi nell’equipe diocesana, rimanendovi per due mandati tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90. Il Settore giovani di AC stava attraversando una fase vivace e feconda, era in piena crescita ed espansione, e per tale ragione domandava il sostegno di un assistente disponibile e capace di slanci generosi. Don Ruggero emergeva come il sacerdote perfetto per rispondere alla richiesta a motivo della dedizione risaputa, dell’abilità nelle relazioni, e dell’entusiasmo nell’azione. Proprio negli anni del suo servizio l’AC nazionale stava affrontando un passaggio storico delicato, dalle notevoli sfide esterne ed interne. In molti si ricordano dell’acceso e teso confronto tra l’ACR e il Settore giovani. Don Ruggero si spende per tessere pazientemente il filo del dialogo e della distensione. Allora le esternazioni e gli umori dei preti, considerati ancora come leaders autorevolissimi e normalmente figure dal carisma spiccato, contavano parecchio per il discernimento e le decisioni da prendere. L’arte relazionale del ‘Rugi’ risulta dirimente e preziosa nel botta e risposta tra le componenti associative e all’interno dello stesso collegio degli assistenti. Aveva la dote della costanza nella routine istituzionale ed organizzativa: in breve apprende a muoversi agevolmente tra le dinamiche associative, studia, partecipa, condivide… il suo tratto umano e pastorale piace moltissimo ai giovanissimi, stimola gli animatori, guida e sostiene l’equipe centrale del Settore. 

Il nostro preferibilmente si trovava a suo agio a lavorare dietro le quinte, evitando di posizionarsi in evidenza sotto la luce dei riflettori. Eppure non sfugge all’occhio clinico di don Antonio Lanfranchi, Assistente Nazionale dei Giovani di AC, futuro vescovo di Cesena e di Modena, il quale lo stana e lo valorizza affidandogli incarichi e compiti durante i campi e i convegni nazionali. Sarà una esperienza che lo struttura nell’autostima affrettandone la maturazione. La sua paternità e capacità di generare alla fede me lo fa accostare all’immagine di Giovanni il Battista. Egli fu l’amico dello Sposo, la lampada che segnalò la Luce, la voce che indicò la Parola. Un gigante che si mise di lato, che diminuì perché un Altro potesse crescere ed essere accolto. Il Battista arrivò all’esito sommo della sua vocazione profetica ‘scomparendo’, ‘morendo’, facendo tutto lo spazio possibile perché il Figlio, e i figli con lui, potesse avanzare libero. Certamente don Ruggero aveva le sue fatiche e fragilità, le quali lo rendevano ancor più umano ed umile, avvicinabile e sapiente. Tra le sue debolezze non vi era posto per l’autoreferenzialità. Nelle meditazioni sulla Parola, che offriva abbondanti, i giovani si identificavano, si ritrovavano, lasciandosi sedurre dalle idealità evangeliche. Incline all’ascolto, stava in guardia dalle ‘ciacole’. Se il gossip per moltissimi è sport frequentato il nostro non vi indulgeva, prediligendo altro genere di attività agonistiche. Il calcio, quello si lo attraeva e lo attrae tutt’ora. Dotato di talento naturale per il dribbling, il palleggio, i colpi di testa, il gioco di squadra, la regia, in campo era praticamente insuperabile. Un vero asso con il quale pochissimi, tra i quali un don Orioldo Marson o un don Dario Roncadin, potevano competere. Nella ‘nazionale’ (si fa per dire) di calcio dei preti di fatto era il capitano. Don Ruggero si ispirava alla Fiorentina, la squadra delle sue passioni, e letteralmente perdeva la testa come fan di Batistuta, tanto da chiamare il suo adorabile gatto, passato alla storia, con il medesimo nome del bomber osannato. In parte anche dai terreni di gioco acquisisce la propensione per la corresponsabilità e la sinodalità (camminare e ‘correre’ insieme). Con i dirigenti dell’ACG non disdegnava un buon calice di vino, preferibilmente di Bulfon, godendo dell’amicizia e della convivialità con giusta moderazione e stile impeccabile. Se possiamo permetterci, oltre alla gratitudine e stima personale ed associativa, don Ruggero non è passato di moda, anzi andrebbe tenuto presente come ‘campione’ pastorale (tanto per mantenere la metafora calcistica) dal quale apprendere l’arte di consentire a Dio di cacciare la palla nella rete dei cuori.

don Fabrizio De Toni

Assistente Nazionale del settore Adulti di Azione Cattolica

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