Babele: dove incontrare la speranza

LA TEOLOGIA BIBLICA CONTRAPPONE, AL QUADRO DRAMMATICO DEL VIVERE QUOTIDIANO, UN “LUOGO” ALTERNATIVO, RITRATTO CON L’EVENTO DELLA PENTECOSTE. DALLA CHIESA, DALL’AC E SOPRATTUTTO DAL LAICATO PUÒ ARRIVARE UN CONTRIBUTO DECISIVO PER COSTRUIRE UNA CITTÀ A MISURA D’UOMO. PROSEGUE IL PERCORSO DI SPIRITUALITÀ LAICALE ATTRAVERSO I LUOGHI BIBLICI

Babele, o meglio la “città” di Babele ci consente di evocare il cammino recente dell’Azione cattolica nazionale, la quale si sta concentrando a esplorare la dimensione popolare, la realtà di un popolo che abita la città. Genesi ne parla al capitolo 11, concludendo idealmente una grande “saga” che a partire dall’albero della conoscenza del bene e del male narra il mistero di un uomo fragile e peccatore, potremo dire la verità di un popolo, di una umanità ferita e peccatrice. «(Gli uomini) dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre”» (v.4). Contrariamente a quello che immaginiamo, il colossale progetto edile non si limita a un manufatto verticale, ovvero a una piramide a gradoni tipica del mondo orientale. Qui si ipotizza una città vera e propria con doppia recinzione. Solo in quella più interna si prevede la costruzione di palazzi reali e di una torre. Non è un dettaglio marginale evidenziare come il linguaggio sia volutamente esagerato nel presentare un monumento che possa toccare il cielo. Infatti, «il Signore scese a vedere» (v.5). Evidentemente se scende, se deve abbassarsi rispetto alla sua reggia significa che non va data un’importanza eccessiva e prevalente al toccare/sfondare il cielo. Osserviamo ora i costruttori sotto il profilo della comunicazione. Nell’avvio del racconto si dice che: «Tutta la terra aveva un’unica lingua» (v.1). Per sé sarebbe «un solo labbro», oppure «una sola bocca», da intendersi in primis non come una sola lingua parlata, ma come una comunità compatta, dove c’era intesa tra i differenti linguaggi. Infatti, poco prima l’autore metteva in scena più popoli con le rispettive lingue. Un dato chiaro di Genesi è che Dio ama, vuole, crea le differenze mettendole in dialogo tra loro. Nel nostro caso, Egli legge nel progetto architettonico un’idea malata e pericolosa, e decide di punire l’umanità: «Confondiamo la loro lingua» (v.7). Si innesca una situazione di incomunicabilità, di caos linguistico, di non comprensione. Ciò che disturba la sensibilità divina è la difesa, l’arroccamento di una città che protegge la sua identità posizionando mura di cinta e alzandosi in verticale. Si coglie un intento identitario, inospitale e autoreferenziale, di un popolo ripiegato timorosamente e aggressivamente su di sé.

IL PECCATO ORIGINALE DELLA TRACOTANZA

A prestarvi attenzione, ecco la seconda malattia: si evince una accusa contro le superpotenze del tempo, violente e totalitarie, fiere della loro forza militare, politica ed economica. Naturalmente la protesta è estensibile ai governi analoghi di ogni tempo. Infine, va certamente tenuta per buona l’interpretazione dei Padri della Chiesa che vi leggono l’arroganza e la protervia di una umanità che lancia una sfida al suo Signore, bramando di strapparlo dal suo trono. Eccolo qui il peccato originale, il virus di sempre, la tentazione per la quale si dà un seguito operativo alla ubris greca: la tracotanza, il sentimento di onnipotenza, l’egolatria spavalda e insolente. Lasciandoci andare a un gioco di specchi, non è difficile richiamare le ferite delle città occidentali, delle megalopoli moderne e dei popoli in genere. L’instabilità economica, l’incertezza del futuro, gli spostamenti geopolitici in atto, il fenomeno pressante delle migrazioni alimentano una percezione di insicurezza, di malcontento e di rabbia. Si genera uno stato d’animo sul quale si specula cercando di raccogliere consenso attorno a populismi identitari e sovranisti, con conseguente costruzione di barriere e smantellamento di ponti. Un panorama che si carica vieppiù di tensione, al quale frequentemente papa Francesco si indirizza definendolo “scenario polarizzato”.

FARE I CONTI CON LA POST VERITÀ

Oltre a ciò, stiamo facendo i conti con la post verità. Ci troviamo infatti nella stagione delle fake news, delle balle che circolano sul web e non solo. Attualmente, ci si permette di dire tutto e il contrario di tutto, buggerando e raccontando falsità colossali e presentandosi il giorno dopo, con faccia tosta, da innocenti. Onestà, ricerca della verità, affidabilità appaiono in minoranza. Più che lotta con Dio, il clima culturale registra tranquilla autoreferenzialità: sulle grandi domande della vita ognuno s’arrangia, si fabbrica riferimenti a propria misura, appiattendosi su pensieri deboli e desideri spenti, navigando in una liquidità (Bauman) dove diventa improbo afferrare un capo e una coda.

L’ANTI-BABELE: NELLA PASTA DELLA STORIA

La teologia biblica al quadro drammatico e impietoso della città caotica contrappone una città alternativa, dov’è possibile incontrare la speranza. Si tratta della città/umanità ritratta con l’evento della Pentecoste. Essa viene giustamente definita l’anti-Babele. Splendido! Lo Spirito non procede a omologare e a irreggimentare, ma valorizza le differenze, i linguaggi e le tradizioni della terra consentendo di capirsi e di integrarsi in un progetto di comunione, dove circoli la verità e il massimo del bene. Dalla Chiesa, dall’Ac e soprattutto dal laicato tutto, inserito a mo’ di fermento nella pasta della storia, può arrivare un contributo prezioso e decisivo. Il tronco giudaico-cristiano, la memoria del monachesimo, il patrimonio della Chiesa costituisce una riserva di senso e di direzione. Perché non immaginarci come una tavola delle convivialità? Il vescovo Tonino Bello amava l’espressione “convivialità delle differenze”. Non potrebbe essere questo il sogno da spartire? Una prospettiva dove le due grandi intuizioni del primato della persona e dei legami, essendo la persona una relazione per natura sua, siano come le colonne portanti? L’Ac con la sua competenza formativa si sente già interpellata ad avviare e sostenere processi di inclusione, di promozione della giustizia, di lavoro per il bene comune. Non le è consentito di dimenticare le coordinate del dna associativo da reinterpretare con creatività ed entusiasmo: aderenza al dettato evangelico, ascolto intelligente del magistero, discernimento sinodale, animazione di buone prassi, coerenza nelle scelte. Non ci si lasci scappare sogni e visioni.

Don Fabrizio De Toni, assistente nazionale per il settore Adulti di Azione cattolica italiana.

(Articolo tratto dall’ultimo numero del trimestrale dell’Azione cattolica italiana Segno nel Mondo n. 4/2018)

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