Annunciamo il percorso disegnato per i prossimi due convegni per le presidenze diocesane. Sarà affrontata la tematica del “santo popolo di Dio in cammino”. Innanzitutto quest’anno sul versante pastorale con tutte le sue implicanze etiche e sociali, compreso il fenomeno della pietà popolare, il prossimo su quello dei contesti urbani sfarinati e complessi abitati dal popolo. Nelle assemblee cercheremo di evitare un approccio elucubrativo ed accademico. Faremo piuttosto, senza rinunciare all’analisi teologica e al confronto, un “bagno di popolo”, un’immersione nell’esperienza, nei colori e negli odori del popolo. Il magistero di papa Francesco, Evangelii Gaudium (EG) in primis, si fonda sulla Teologia del popolo. Essa è nata da una scuola argentina (scuola di Buenos Aires), all’indomani del Vat II, per trovare delle traduzioni ecclesiali proprie per l’America Latina della categoria biblica e conciliare della chiesa immaginata come popolo di Dio (Lumen Gentium Cap. II). La Teologia del popolo, di cui Francesco è sia figlio che padre, si pone nel solco delle teologie della liberazione in modo originale. In comune con esse ha l’amore per i poveri e la tensione per una liberazione integrale dell’uomo. Il sostantivo più ricorrente in EG è “popolo”, utilizzato ben 164 volte. La chiesa come santo popolo di Dio, e conseguentemente la Teologia del popolo, sono il luogo da cui Papa Francesco elabora il suo pensiero. Badate bene che l’operazione riflessiva non viene condotta a tavolino, ma dentro al popolo, in un corpo a corpo che consente di conoscerne le aspirazioni, di annusarne le condizioni, di soffrirne le pene, di goderne i segni di libertà. Fare chiarezza sulla pietra fondante del suo magistero ci permette di comprendere l’insistenza su alcuni capitoli decisivi. Ecco introdotta la convinzione che il popolo di Dio non è in prima battuta il destinatario dell’azione evangelizzatrice. Esso è piuttosto l’attore principale, il soggetto evangelizzante. La chiesa è o non è popolo chiamato ad uscire per narrare la bellezza della misericordia? La pietà popolare, modalità con la quale si esprime con spontaneità il popolo di Dio, diventa così una potente confessione di fede, la via ordinaria con la quale si trasmette la gioia di credere. I nostri approcci occidentali alla religiosità popolare sono in prima battuta sospettosi e critici. Immediatamente la si avverte come realtà da purificare ed evangelizzare, piuttosto che come forma autorevole e dalla quale imparare di narrazione evangelica, con delle ripercussioni notevoli di tipo culturale, sociale e financo politico. La stessa relazione pastori e popolo è invitata a convertirsi. Il pastore quindi la smetta di pretendere di stare di fronte al popolo, pontificando dalla cattedra e pretendendo docilità senza previo ascolto. A Cartagena in Colombia nel viaggio apostolico del settembre 2017, intrattenendosi con un gruppo di 65 gesuiti, il Papa se ne è uscito dicendo: “Il popolo di Dio ha olfatto… a volte il nostro compito consiste nel metterci dietro (tipica posizione del discepolo)… Il pastore deve assumere tutti e tre gli atteggiamenti: avanti a segnare la strada, in mezzo per conoscerlo, dietro perché nessuno resti dietro”. Se il pastore si incaponisce di non mollare affatto la sua posizione di capo fila cadrebbe nel clericalismo becero e arrogante, chiuderebbe le orecchie alla voce dello Spirito che esce dalla bocca del popolo, non avvierebbe una cammino di vera sinodalità e corresponsabilità. Starsene inesorabilmente nel mezzo lo porterebbe al qualunquismo e a scomparire nella massa rinunciando ad un servizio di vigilanza e di paternità. Attardarsi inesorabilmente sempre tra le retrovie lo condannerebbe a perdere lucidità e profezia. Da ultimo vorrei metter in luce il popolo di Dio come “luogo teologico”, come fonte da cui elaborare una teologia che abbia a cuore la storia. Papa Francesco esorta i teologi ad entrare nel grembo del popolo per ascoltarne aneliti e patimenti, per apprendere dal suo fiuto e istinto della fede (sensus fidei) che discerne gli impulsi dello Spirito. Quindi la teologia del popolo la si fa a partire dal popolo. Esiste una teologia pratica del popolo vissuta nella quotidianità, nella preghiera, nella pratica delle opere di misericordia, formulata con il suo apparato simbolico più che razionalizzando. Avviandoci a concludere, mi piace riportare le parole provocatorie di Papa Francesco rivolte ai membri del FIAC il 27 aprile del 2017: “L’Azione Cattolica non può stare lontano dal popolo, ma viene dal popolo e deve stare in mezzo al popolo. Dovete popolarizzare di più l’Azione Cattolica. Non è una questione d’immagine ma di veridicità e di carisma. Non è neppure demagogia, ma seguire i passi del maestro che non ha provato disgusto per nulla. Per poter seguire questo cammino è bene ricevere un “bagno di popolo”. Condividere la vita della gente e imparare a scoprire quali sono i suoi interessi e le sue ricerche, quali sono i suoi aneliti e le sue ferite più profonde; e di che cosa ha bisogno da noi. Ciò è fondamentale per non cadere nella sterilità di dare risposte a domande che nessuno si fa. I modi di evangelizzare si possono pensare da una scrivania, ma solo dopo essere stati in mezzo al popolo e non al contrario”. Il populismo e la demagogia parlano alla pancia e sono interessati ad imbonire, qui al contrario si parla al cuore per stanare e far uscire l’AC con tutto il suo patrimonio migliore. Ci uniamo volentieri allora al santo pellegrinaggio e alla santa carovana del santo popolo di Dio.
Don Fabrizio De Toni (Assistente Nazionale settore Adulti AC)
Articolo tratto dalla rivista dell’Azione Cattolica Italiana “Segno” (Numero 1 – Marzo 2018).