Il Figlio

Mi piace partire dall’immagine del figlio, che in fondo è la nostra radice, la nostra identità, per interpretare la cultura nella quale ci muoviamo. In passato ho riflettuto a lungo sulla ‘morte del Padre’ decretata dall’ultimo scorcio di fine secolo. Quindi morte delle istituzioni, delle tradizioni, dell’autorità… della memoria, nel nome di un futuro svincolato da rigidità e legami, tutto pieno di libertà. I figli che hanno messo a morte il padre si ritrovano certamente liberi, ma altrettanto certamente disorientati, smarriti, ma forse non ancora consapevoli appieno del loro smarrimento perché ancora ebbri di una libertà ed emancipazione appena conquistata. Figli talmente smarriti e confusi da aver dimenticato la loro bellezza e dignità di figli. Ecco la mia tesi, o meglio: tesi di  alcuni analisti di area cattolica che condivido: i figli di oggi hanno dimenticato il Padre al punto da dimenticare di essere figli. Ahimè, grave perdita questa. Il figlio per natura sua è uno che viene generato: dai genitori, dagli educatori, dalle esperienze, dalla scuola, dagli amici, dal tempo, dalla terra… Per sé il figlio è tale perché vive una sana dipendenza da tutta una storia che gli è madre, che lo nutre, lo alleva, gli permette di essere quello che è. Il figlio se si mette ad osservare le cose dalla finestra della sua identità impara da solo a ringraziare, a stupirsi, ad esser contento per una vita che è generosa con lui, straordinariamente più generosa di quanto lui non lo sia con lei. Colui che guarda con occhio contemplativo intuisce la sua dignità di figlio, e la intuisce come realtà buona, anzi: molto buona. Il credente poi rafforza ulteriormente questa verità. Il credente contesta la presunzione di chi si crede padrone ed artefice assoluto della sua vita, della serie: ‘Io non devo niente a nessuno. Se ho qualcosa, me lo sono meritato’. Una certa fierezza per questo tipo di falsa libertà, anche se all’inizio può dare entusiasmo ed euforia, alla lunga lascia stranamente vuoti e freddi, non appaga. L’uomo credente avverte e afferra che tutto trova ed ha la sua sorgente in Dio, che è Padre ricco di bontà e di fantasia. E’ certo che pure lui è frammento concepito da questo Dio. Insomma, comprende con tutta la sua anima di essere figlio di questo Padre. Quindi non solo figlio di due genitori, ma figlio di questo Genitore. Ora, se la sua sorgente è divina, se il suo luogo di partenza è la misericordia e la bontà per eccellenza, è mai possibile che da questa sorgente scaturisca acqua inquinata? Dio non partorisce sgorbi, brutti anatroccoli, ma… figli… a sua immagine e somiglianza. Un tale figlio si sente avvolto, preceduto, accompagnato da una presenza amica, che è quella di Dio. Vive in relazione con Lui, senza sentirsi sminuito, bloccato, limitato. Non si immagina arrogantemente a partire da sé: ‘Cogito, ergo sum (Penso, quindi esisto)’ diceva Cartesio, ma a partire da Dio, dal Padre: ‘Cogitor, ergo sum (Sono pensato – da un Padre buono -, quindi esisto)’. La certezza di esserci perché si è stati voluti e amati, di esserci perchè Qualcuno ci ha preferito alla non esistenza, ci mette dentro la certezza di essere positivi, degni di amore, creature congegnate ad ‘immagine e somiglianza’, di essere figli, appunto. Tutto questo se vissuto non solo con la mente, ma con le energie del cuore, ha la capacità di suscitare stupore, di incantarci, di commuoverci. Il figlio che impara a riconoscersi così prova una grande pace dentro di sé, un senso gratificante di armonia. Sente il bisogno di restituire, di essere generoso con una vita generosa. Viene attratto irresistibilmente dal fascino dell’amore. Si sente capace di dare, di donare, di amare. L’ingratitudine e la presunzione partoriscono piccoli o grandi despoti che mangiano energie invece di distribuirne. Il figlio che ammazza il padre non imparerà mai a diventare padre. E ora abbiamo chiuso il cerchio. Solo la gratitudine genera gratuità, solo il figlio è in grado di essere padre. L’ingratitudine, l’avidità, la conflittualità violenta, la guerra, la paura non appartengono alla vocazione del figlio. (…)  30.03.2003

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2 thoughts to “Il Figlio”

  1. Ogni tanto qualcuno mi dice che nella mia vita sono stata sfortunata. Io rispondo loro che se tornassi indietro mi risposerei di nuovo tutte e due le volte, intendendo dire che non rinuncerei a nessuna delle esperienze che ho vissuto, neanche a quelle più dolorose. Se oggi sono quella che sono, è proprio perchè sono ‘figlia’ di quelle esperienze che mi hanno rigenerato. A tal proposito ne voglio raccontare una molto particolare, straordinaria, stupefacente.

    Dopo la morte di mio marito, avevo circa 24-25 anni, un giorno mi chiesi perchè mi fosse successo di rimanere subito vedova. Immediatamente dal mio cuore scaturì la risposta:”Quell’esperienza mi sarebbe servita perchè un giorno avrei dovuto aiutare un’altra ragazza, che avrebbe vissuto un evento simile al mio. Ma dovevano passare ancora molti anni. Questo sarebbe accaduto quando ne avrei avuto più di quaranta. Prima dovevo vivere la mia vita, tracciare una strada.” Rimasi sbalordita da quella rivelazione, ma non dissi niente a nessuno.
    Accantonai l’accaduto per qualche anno, senza però dimenticarlo. Nel fratttempo mi risposai ed ebbi altri due figli.
    Col passar degli anni quel ricordo riaffiorò e cominciai a pormi delle domande:”Dove e come l’avrei conosciuta?”
    Accadde che un giorno mi arrivò per posta una cartolina pubblicitaria per sottoscrivere un abbonamento a ‘Famiglia Cristiana’. Come la vidi compresi che quella era la risposta:avrei conosciuto quella ragazza tramite quel giornale. La mia ragione però si opponeva a tutto questo, non voleva credere che quelle ‘fantasie” fossero vere e così quella cartolina restò lì per molto tempo. Alla fine però ascoltai il mio cuore, la spedii e feci l’abbonamento, anche se sapevo che i tempi non erano ancora maturi:dovevano passare ancora degli anni.
    Arrivò così il 1999. Quell’anno avrei compiuto 42 anni. Il ‘tormento’ cominciò in Primavera. Quella voce mi diceva che i tempi erano maturi e che presto l’avrei conosciuta . Dovevo tenermi pronta a scriverle. Passavano i giorni, le settimane, i mesi, e quella voce diventava sempre più insistente, sembrava che qualcuno mi stesse facendo il lavaggio del cervello. La mia ragione però, ancora una volta, non voleva credere che quello che mi ispirava il mio cuore fosse vero, così ero continuamente in conflitto:credevo di impazzire.
    Ogni volta che arrivava ‘Famiglia Cristiana’ l’aprivo subito per vedere se trovavo quella ragazza fra le lettere dei lettori. E venne così il mese di Ottobre:mi arrivò il N. 39 del 03/10/99 (lo conservo ancora), lo aprii subito, come il solito, e…la trovai, bene in vista. La lettera della settimana era scritta da una giovane vedova di nome Marilena, che si era sposata il 1° Maggio (come me ), e dopo trenta giorni il suo sposo era morto in un incidente stradale.
    Rimasi di stucco. Il conflitto si placò e lasciò il posto allo stupore.
    Quella sera stessa presi carta e penna e scrissi a ‘Famiglia Cristiana’:come avrei potuto fare diversamente?
    Dopo circa venti giorni mi arrivò la risposta di Marilena. Ne nacque una splendida amicizia che mi ha arricchito e rigenerato.

    L’amicizia è prima di tutto un dono di Dio e questa storia lo dimostra in maniera inequivocabile. E’ un raggio della Sua luce che illumina, dà gioia e consolazione alla nostra anima.
    Sono ‘figlia’, e ‘figlia’ grata, anche di quell’incontro.

  2. Da qualche tempo, sto vivendo in profonda relazione con Dio. Mi sento figlia Sua e Lui è il Padre mio! Sento che ci assomigliamo. Ho instaurato con Lui un rapporto di intima famigliarità. Sto riscoprendo attraverso la comprensione della Sua Parola, quanto io Gli appartenga, quanto il Suo insegnamento sia in sintonia con i valori che ho scelto liberamente come fondamentali per la mia vita. So che (come in ogni relazione) non sarà sempre un idillio e ci saranno delle incomprensioni. In futuro probabilmente Lo deluderò, comportandomi in modo incoerente e forse anch’io chiederò conto a Lui, del Suo agire, se mi sentirò trascurata. Ma so che ci sarà spazio per dialogare e per comprenderci. So per certo che sarà una relazione vera, perché nasce da un grande gesto d’amore che Egli ha compiuto nei miei confronti e che io ora ho ben compreso: avermi donato la vita, avermi preferita al nulla.
    Eppure, fin da adolescente mi sono ribellata a Lui e ho scelto di escluderlo dalla mia vita, ignorandolo completamente, in quanto non mi pareva fosse dalla mia parte. In realtà, ero alla ricerca della Verità e nulla mi aveva stimolato ad approfondire davvero la sua conoscenza, a comprendere il suo messaggio. Mi sembrava che tutti noi ‘dovessimo’ amare Dio, in quanto Colui che ci ha creato. A me non piaceva quel Dio che aveva la pretesa di essere amato, pretesa che appariva ai miei occhi come la più grande delle presunzioni.
    Pensavo: “Io non ho chiesto niente a nessuno. Sono qui al mondo e non so qual è la mia missione, qual è la mia vocazione…di cosa devo ringraziare?”. Siccome la gratitudine deve venire dal cuore, mi sentivo moralmente ricattata, da un Dio che dettava le regole e mi faceva sentire in colpa, se non ero conforme al Suo volere: insomma più che un Padre, lo sentivo come un estraneo col quale avevo un debito, mentre io volevo essere libera di scegliere di amare ‘per amore’ e non per pretesa!
    Inoltre, osservando i comportamenti della gente che frequentava l’ambiente ecclesiale, mi sembrava di vedere solo ipocrisie: coppie che si sposavano in Chiesa davanti a Dio, con centinaia di invitati, ma che poi si tradivano allegramente dopo pochi anni di matrimonio (era di moda la crisi del settimo anno); preti che invitavano i genitori a non portare i bambini che piangevano alla Messa, per non recare disturbo al loro predicare (alla faccia del “lasciate che i bambini vengano a me”); ‘pie donne’ che non perdevano occasione per alzare il dito e giudicare, sentendosi ‘bonificate’ dall’appartenenza all’ambiente…
    Lo so! Il mio è stato un giudizio decisamente severo e rigido, ed forse anche un po’ superficiale! Ma a quell’ età si è inesorabilmente sensibili e non si ammettono, ne’ si accettano compromessi o mediazioni. Ripensando a me, realizzo quanto sia difficile dialogare con un adolescente.
    Ho avuto modo di assistere all’incontro di domenica scorsa in oratorio con il professor Tonolo, il quale ci spiegava quanto sia importante educare i figli alla verità, stando però molto attenti ad essere coerenti, se si vuol essere credibili! Altrimenti ci ‘bruciamo’ l’opportunità di avere la loro fiducia.
    Ecco allora qual è la chiave che apre la porta al dialogo: la verità, la coerenza, la credibilità!
    Anche la Chiesa ha un compito impegnativo nei confronti delle nuove generazioni: quello di educare alla relazione con Dio. Ed i suoi Ministri dovranno essere assolutamente credibili!
    C’è la necessità di essere ascoltati con profondità di pensiero, si sente il bisogno di aprirsi, confidarsi, confrontarsi. Ma chi ascolta deve saper accogliere la verità come un immenso valore, anche e soprattutto quando è amara. Dare Luce alla verità, anche quando è scomoda e sconveniente, serve a ‘bonificare’ il buio; serve a far sì che ogni nostra miseria, possa trovare comprensione ed espiazione…
    E allora un peccatore non si sentirà un alieno agli occhi di Dio, ma un essere umano con tutte le sue fragilità. …e potrà ambire ad essere amato da Lui.

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