Perdono o non perdono?

Commento al Vangelo della XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Mt 18,21-35)

Il titoletto fa eco al giochetto infantile del bambino che spiuma la classica margherita con il “m’ama non m’ama” affidandosi alla sorte. Siamo nel discorso ecclesiale del vangelo di Matteo, il penultimo. Ne emerge un Gesù misericordioso ed estremamente esigente in fatto di misericordia. Tant’è che chi si rifiuta di essere misericordioso si vedrà ritirata la misericordia di Dio. Terribile… non perché minaccioso, ma nell’essere esigente. A Pietro risponde: ‘Non ti dico (di perdonare) fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette’. All’uomo Dio perdona in modo illimitato, gratuito, immeritato… preveniente, senza attendere la richiesta di perdono. Perciò attende una risposta generosa, ad immagine e somiglianza della sua. Commoventi le testimonianze di perdono narrate a Papa Francesco nel suo recente viaggio in Colombia. Pastora Mira Garcìa accoglie, cura e offre il letto del figlio assassinato al giovane che lo aveva ucciso, senza lasciarsi andare al desiderio di fargli del male. Juan Carlos Murcia a dieci anni viene assoldato nelle Farc. Lo indottrinano, gli insegnano che Dio sono le armi e il denaro. Ora chiede perdono e ha fondato una associazione che insegna ai giovani che vivono nella povertà a fare sport. Qui non solo si supera il canto selvaggio di Lamec (Gen 4,23-24), il cui nome significa distruzione. Egli infatti dichiara che sarà vendicato settantasette volte. Si va oltre, ribaltando completamente la logica, superando anche quella della legge del taglione. Si è chiamati a perdonare settanta volte sette. La prassi della misericordia invoca contestualmente giustizia e verità, altrimenti non c’è argine per la violenza. In ogni caso, la regola del perdono e della riconciliazione è sovrana, ci umanizza, apre ad una prospettiva di pace. In uno scenario europeo intossicato da urlatori populisti, da individualismi e paure, e in un contesto mondiale polarizzato, conflittuale, dove a minacce si reagisce raddoppiando le minacce urge opporre con tenacia una sensibilità altra, una cultura dell’incontro (come la definisce il magistero), una ricerca della verità che tende alla libertà e alla gioia di sapersi abbracciare e perdonare.

Don Fabrizio De Toni

 

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