Pastorale della rotatoria

Il titolo viene da alcune letture di recenti riviste di pastorale e dall’osservazione sul campo. Lasciamo per un momento l’immagine stradale di partenza per introdurne una di tipo domestico. Massimo Nardello su ‘Settimana’ individua il freno nei processi di cambia
mento ecclesiale in una ‘pastorale a cucù’ http://www.settimananews.it/pastorale/una-pastorale-a-cucu/. Il famigerato rotatoria-per-soli-ciclisti-306971volatile fa capolino dalla casettina ad orari fissi. All’inizio viene ascoltato con simpatia, in seguito essa lascia il posto all’insofferenza per un verso già noto e ripetitivo. L’icona ornitologica rimanda ad una

attività ecclesiale dejà vu, scontata, rimasticata che non attrae nessuno, anzi suona molesta e sgradevole. E’ nota a tutti l’insistenza nel magistero popolare di papa Francesco di smetterla con ‘il si è sempre fatto così’. Il ‘metodo del cucù’ si irrigidisce su schemi fissi privi di elasticità, e così le prediche si ripropongono uguali a se stesse di anno in anno. Gli itinerari formativi, che nei bei tempi funzionavano, rimangono inalterati attribuendo la colpa di una partecipazione striminzita all’insensibilità delle pecore. Ci si stufa e ci si annoia. Tutto sommato l’abitudinarietà all’operatore pastorale consente di sentirsi al riparo, di fuggire l’ansia del nuovo, è… comoda. Una delle varianti di simile modo di procedere è consegnare con ritmo incalzante ed inesorabile eventi, iniziative, proposte senza tregua, convinti che un’azione martellante prima o poi farà presa e sfonderà. Se ci pensate bene, la metodologia del cucù è fortemente autoreferenziale. Si ‘esce’, ma con i piani già belli confezionati, privi di discernimento condiviso e di fantasia, e si ‘rientra’ in tutta velocità, perché non c’è tempo da perdere e ahimè nemmeno per ascoltare. L’invenzione inglese della rotatoria può evocare e sintetizzare la conversione missionaria della pastorale tanto cara a Francesco (vedi EG), ai vescovi italiani (leggasi ‘Il volto missionario della parrocchie in un mondo che cambia’) e alle scelte del vescovo Giuseppe (con la sua ‘I passi della misericordia’). Superando gli incroci tradizionali perpendicolari e fissi, si disegna una traiettoria circolare che permette inserimenti fluidi, mai scontati, dove gli interessati si osservano e condividono le scelte pur dentro a delle regole precise. Fuor di metafora sto pensando all’inedito approccio contenuto e suggerito in Amoris Laetitia, il quale senza rinunciare alla retta dottrina è di natura pastorale. Esso richiede annuncio della bellezza del matrimonio come vocazione all’amore, pazienza, accompagnamento, ascolto, discernimento, integrazione. Qui si incontrano, condividendo un pezzo di strada, il servizio materno ed autorevole della chiesa e le storie diversissime delle coppie e delle famiglie, con il loro bagaglio di straordinaria e fragile umanità. Il progetto strutturale delle Unità Pastorali, a proposito circa la metà è riuscita ad addivenire ad una costituzione giuridica, valica la logica dei confini, del territorio da difendere per allacciare relazioni e alleanze, per condividere risorse e programmazioni in modo agile. Integrandosi si procede in compagnia, non ci si annulla a vicenda, e si trovano mille strategie per innovare con creatività. Le UP sono come il luogo scorrevole per accogliersi con gioia e per incoraggiarsi a scavalcare i recinti, in modo da raggiungere gli itinerari di vita di quanti da tempo hanno traslocato dall’ambiente parrocchiale. La prossima Visita Pastorale triennale annunciata dall’episcopo va in questa direzione. Egli decide, secondo una sapienza storica e collaudata, di ‘uscire’ dagli spazi della curia, che in ogni caso sono un pezzo di chiesa che va presidiato per custodire il gregge, per affiancarsi, senza interrompere nulla, anzi per sostenere, per ‘annusare l’odore delle pecore’, per orientare, per incontrare. In fondo la vita credente è o non è un ‘santo pellegrinaggio’ della carovana di Dio?

 

Pubblicato su ‘Collegamento Pastorale’ della Diocesi di Concordia-Pordenone del 18.10.2016

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