Forzando un momentino le cose, provo a condividere ciò che ho cercato di proporre come riflessione nell’ultimo incontro del gruppo catechisti. È un’analisi e una provocazione buona per tutti coloro che ci tengono alla fede e che sono consapevoli del loro ruolo di educatori alla fede come genitori o nonni. Son partito da un dato di fatto che è sotto gli occhi di ogni operatore pastorale che voglia procedere con onestà. Non solo qui a Meduno-Tramonti, ma in tutta la realtà diocesana, e direi nordica, si dice di sì al catechismo e pacificamente di no alla liturgia. Gli sforzi ecclesiali vanno nella direzione di una pastorale dell’iniziazione e della missione e tuttavia quello che si raccoglie è una frequentazione troppo consumistica. Normalmente, anche questo è dato della realtà, le reazioni degli addetti ai lavori sono di lagna da una parte, col suo contorno di insistenze nervose, di sbotti infastiditi, di ansia da risultato, di scontentezza e di amarezza, dall’altra di superficialità, fatta di abitudine, di ripetitività, di stanchezza dove l’educatore alla fede è il primo a non crederci.
Guardando allo stile pastorale di Gesù, perfetto catechista anche se non proprio così riuscito se esaminato con criteri umani, si scopre una misteriosa reazione di fronte alle resistenze e ai fallimenti incontrati e sofferti. Gesù reagisce alla chiusura con l’apertura massima, con la gratuità. Lui semina in modo esagerato, eccedente, inizia dal terreno duro, dalla strada e non smette. Semina senza calcoli, fiducioso e appassionato.
Son convinto che dal suo atteggiamento c’è parecchio da apprendere. Superando le tentazioni e le sabbie mobili della lagna e della superficialità, reagendo con tenacia e gratuità ne guadagnerebbe la qualità del nostro servizio di educazione alla fede. Diverrebbe autentico, generoso, gratuito appunto. Aumenterebbe pure l’efficacia dell’educare alla fede perché tutti s’avvedrebbero che si tratta di un servizio vero, senza amarezza, più convincente. Insomma, senza voler negare l’importanza di affinare i metodi, di organizzare i progetti, senza snobbare la fatica tecnico-organizzativa, ritengo che la centralità spetti alla dimensione spirituale, che noi abbiamo chiamato gratuità.
Una seconda considerazione positiva e di speranza che possiamo elaborare in merito è l’invito a collocarci da una prospettiva nuova, differente. Mi spiego. Oggi si fa un gran parlare di post-cristiano. Ancora dalle parti del Concilio Vaticano II si discuteva di secolarizzazione, di mondanizzazione, di perdita del senso del sacro e del religioso, di eclissi di Dio e via dicendo. È una prospettiva da tenere in considerazione ovviamente, pur permanendo tutta una serie di elementi tipici della cristianità di un tempo come la richiesta della catechesi parrocchiale, la domanda dei sacramenti, dei funerali, delle benedizioni, il bisogno dei simboli. Cose tutte da valorizzare e da far maturare.
In ogni caso forse è l’ora di iniziare a metterci in una prospettiva di pre-cristianità dove un po’ tutto è da inventare e da definire. È la situazione delle Chiese primitive, la situazione di Pietro e di Paolo. Osservando la realtà da questo fronte si può recuperare l’entusiasmo degli inizi, la voglia di condividere ciò che di più bello si possiede, la fedeltà diviene gioiosa contagiosa, il servizio di educazione alla fede gratuito. Quindi gratuità a tutti i costi non per auto imposizione volontaristica, ma per slancio, per desiderio, per ragioni di speranza.
(Natale 2009 – dal Bollettino delle Parrocchie della Val Meduna)