L’inizio dell’articoletto potrà sorprendere. Il fatto è che, ad iniziare dai colleghi, mi chiamano ancora ‘prete giovane’, credo per rarefazione anagrafica dei presbiteri e per il loro progressivo invecchiamento. In realtà don Fabrizio tanto giovane non è, sta approcciandosi ai suoi 50. È stato ordinato nel ’87 per l’imposizione delle mani di Mons. Freschi spendendo i suoi 23 anni di ordinazione tra Seminario, come Animatore dei piccoli, San Giorgio di Pordenone, B.M.V.R. di Portogruaro e quindi Valmeduna. Così salutavo un paio di mesi fa le mie precedenti comunità, saluto di addio che ora può mutarsi in saluto di presentazione: ”In Febbraio il Vescovo mi ha avvicinato dandomi una pacchetta sulla spalla e dicendo i tenermi pronto. Era da un paio d’anni che sondava in modo informale la mia disponibilità: ‘Se sei stanco dimmelo che ti cambio domani mattina’. Anch’io rispondevo in modo scherzoso: ‘Se mi dimenticate mi fate un regalo’. Il fatto è che Meduno (da 11 anni) e Tramonti (da 8 anni) erano e sono casa mia in senso pastorale, lavorativo, amicale, culturale. Ora è tempo di fare le valigie come titolava un giornale locale. È tempo di obbedire, di ob-audire, di ascoltare in modo serio e responsabile, di trasferirmi a Prata mio nuovo gregge. Nel 91’ il Vescovo Sennen mi implorava di partire per il Kenia come missionario. Allora disobbedii spaventato, anzi terrorizzato alla prospettiva. Un’altra chiamata allora avrei sicuramente considerato con ‘orrore’: la montagna, che per me significava castigo, mancanza di stima dei superiori, giudizio di incapacità. Immediatamente dopo la disobbedienza missionaria caddi in una depressione allucinante, di cui non ho fatto mai mistero. Molte cose mutarono nel mio intimo tanto da salire più tardi in montagna con una gioia e un piacere che non mi hanno mai abbandonato. È proprio quell’inferno depressivo che ho sofferto, che poi si è trasformato in storia di salvezza, a consentirmi oggi di essere sufficientemente libero e sereno di… andare, di togliermi di mezzo, di morire, di ripartire”. Credo sia utile chiarire subito che il don in arrivo non possiede nulla di straordinario, è solo un poveretto che si sente amato e chiamato ad essere fratello, padre e madre di altri. Sguarnito come sono, chiedo per grazia di essere reso destinatario del dono dell’intelligenza spirituale e pastorale. Prendo la parola intelligenza nel suo significato etimologico, da intus-legere, vale a dire leggere dentro, non essere superficiali, ma accorti e sensibili per comprendere la bellezza e la verità del mistero della vita. Tale intelligenza guarda innanzitutto ciò che sta dietro le spalle, spinge lo sguardo verso il passato, cerca di fare memoria della storia che l’ha preceduta cogliendo tutti i frammenti di bene che contiene. So che Prata vanta una sequenza di sacerdoti geniali, colti e devoti; possiede antiche tradizioni e una ricchezza non comune di realtà e di iniziative ecclesiali. L’intelligenza spirituale di cui parliamo richiede di essere esercitata anche sul presente e sul futuro provando ad intuire e ad afferrare le provocazioni e le indicazioni di Dio, usualmente discrete e normali. È sotto gli occhi di tutti il bisogno enorme di creare comunione ad intra e ad extra, di imparare a dialogare e a tessere relazioni fraterne. Pur essendo un patito di innovazioni, amante del cambiamento e delle nuove metodologie e tecnologie, non credo nel modo più assoluto che la salvezza della nostra Chiesa arrivi da qualche geniale trovata. Sono del parere che, per la tenuta, la credibilità e la freschezza della struttura Chiesa, sia essenziale porre come pietra fondativa la relazione di fede. È dalla qualità e dalla bontà della nostra relazione con Dio che discende la qualità e la bontà delle nostre relazioni. La fede, evidentemente adulta, convinta e appassionata, deve essere l’ispirazione di ogni relazione e progetto che allora avranno il profumo della gratuità e della condivisione. Detto questo, voglio sperare di avervi indirettamente rivelato le mie intenzioni e la mia volontà di muovermi in modo ‘intelligente’ iniziando dal conoscervi e dall’amarvi. Vi saluto ringraziando i tantissimi che si sono attivati per la mia accoglienza, partendo dal sorriso benevolo di Mons. Danilo.
A presto!
Vostro don Fabrizio 06.10.2010
Ricordo perfettamente quando lessi questo articolo la prima volta, poco prima del suo arrivo qui a Prata. Ricordo che rimasi piacevolmente sorpresa nello scoprire che tipo di sacerdote avremmo avuto come Parroco.
Pensai che molti altri al suo posto si sarebbero ben guardati dal raccontare della disobbedienza al Vescovo e della depressione. La sua onestà e sincerità conquistarono subito la mia stima e fiducia. La sua umiltà e gratitudine per la sua ‘storia di salvezza’ mi commossero. Compresi che era molto ‘umano’, del tutto simile a noi, un ‘fratello’, proprio quello che desiderava diventare nei nostri confronti.
Pensai anche, con gioia, che lei sarebbe stato il sacerdote che avrebbe sposato i miei figli, e avrebbe accompagnato mia madre, ora novantenne, all’ultima dimora. Non potevo certo immaginare che la sua permanenza qui con noi sarebbe stata così breve e fugace da non permettere che questi eventi, così importanti nella vita di una famiglia, giungessero a compimento.
Ciò non toglie che la sua permanenza nella nostra parrocchia, sia pur nella sua brevità, non sia stata significativa e intensa. Un evento di sovrabbondante grazia per tutte le sue ‘pecorelle’, come ama definirci affettuosamente e simpaticamente.
Per me personalmente ha significato un arricchimento interiore, un ulteriore passo avanti nella fede, stimolato anche dagli interventi su questo Blog e dalla Lectio Divina, sia in chiesa che nel sito parrocchiale: opportunità di cui le sarò per sempre riconoscente.
Inoltre vorrei sottolineare l’importanza proprio di questi nuovi mezzi tecnologici al servizio della fede (Facebook, Twitter, il Blog) che fanno da comunione fra le varie comunità, i diversi ‘greggi’, di cui è stato, è, e sarà pastore. Ascoltare le sue omelie e leggere i suoi articoli sarà sempre un supporto importante per il nostro nutrimento spirituale, in qualunque posto si trovi. Anzi, vorrei invitare già fin d’ora le ‘pecorelle’ di Villotta di Chions e Basedo a fare un passo avanti per porgerle il benvenuto su questo Blog. Sarà un ulteriore arricchimento per tutti scoprire nuove voci. Saranno altre tessere di quell’immenso puzzle che si chiama chiesa.
30/10/10
Caro don Fabrizio,
Meduno, il nostro paese, vedendoti partire ti ha salutato, ed è stato un saluto amaro. Per molti anni da bravo e buon pastore, hai guidato il tuo gregge nel migliore dei modi. Da coloro che hanno ascoltato le tue parole quando rappresentavi Cristo in terra, a quando, attorniato dai bambini, cantavi per il loro diletto le canzoncine; sempre per tutti, hai avuto parole di fede, di speranza, di conforto e di amore.
Ogni volta che venivo da te, il mio sacco era pieno di pietre spigolose e, a portarlo, mi recava fatica e tanto dolore; entrato, lo svuotavo sul tuo tavolo; guardavi quei sassi infuocati, che bruciavano la mia vita; ad ogni tuo sguardo e parola, quelle pietre cambiavano d’aspetto fino a tramutarsi in sassolini leggeri.
Di tutto, grazie di vero cuore.
Don Fabrizio, devo chiederti perdono.
Ad ogni nostra ‘parlata’, dicevi: “Dio vuole anche la preghiera collettiva, (la S. Messa)”. Non ti ho ascoltato.
Per farmi perdonare, rispondevo a ciò che mi chiedevi: “Non riesco a parlare con Dio assieme ad altre persone, devo essere isolato; per strada, in chiesa, in un bosco, non importa dove, purché sia solo; così lo invoco, lo chiamo, ed entra in me, lo prego, fino a quando il dono della sacra fede mi fa capire che ascolta le mie preghiere”.
Con una mano assecondavi il mio dire, con l’altra leggermente rimproveravi questa mia mancanza al non partecipare alla fede comunitaria.
Don Fabrizio, quando la carica della mia gerla diventerà ancora pesante, verrò da te, ovunque tu sia e, come al solito, dopo averla svuotata, uscirò con in mano i germogli della fede e della speranza rinnovata.
Nel nostro paese ha preso il tuo posto ‘un altri Predi’. Arrivando gli hai detto: “Benvenuto a Meduno”. Poi, congedandoti e salutandolo: “Ti lascio la mia gente”. Stringendogli la mano nel nome di Cristo gli hai trasmesso parte di te.
Anche io personalmente voglio dire ‘al nouf predi’: “Ben arrivato fra noi” e, come dicevo a te: “Don, dica un Padre Nostro anche per me”.
Natale è alle porte, quel Santo Bambino guardava la povera gente ed i re Magi allo stesso modo, con infinito amore per ogni essere umano.
In nome Suo e del Nostro Creatore cerchiamo almeno in parte di fare così anche noi, passeggeri di questo viaggio terreno.
Buon Natale e buon anno a tutti.
Meni di Paludana