I credenti stanno attraversando la terra dell’Avvento, che è paesaggio di provocazioni e di conversioni. Esistono a mio avviso nella cultura occidentale delle anti-conversioni. Mi riferisco a mo di esempio a quanto ho sentito attorno al dramma di Mario Monicelli. Durante i TG che raccontavano del suo suicidio spesso sono sobbalzato sulla sedia. Ero tristemente impressionato dai commenti che udivo e che uscivano da bocche di anziani, i quali dovrebbero essere deputati idealmente alla prudenza e alla sapienza (sic!). ‘Il suo è stato uno scatto di volontà!’. ‘Ha trasformato da par suo, da maestro la sua morte’. ‘Ha fatto la cosa migliore che poteva fare’. Non mi azzardo su considerazioni artistiche. Un analfabeta come me può ovviamente solo condividere la stima popolare e dei critici. Non mi interessa ergermi a giudice, non tanto per non fare l’antipatico, ma perchè sò quanto è terribilmente complesso l’animo umano. Credo che solo chi ha provato, come me, la tentazione terribile dell’istinto all’autosoppressione sia autorizzato a dire assieme a pochi altri qualcosa di sensato in merito. Dopo aver attraversato quel tipo di tenebra, sono sempre più convinto del pensiero biblico, il quale dichiara che la vita merita, sempre e comunque al di là delle sue umiliazioni e mutilazioni. Traumi, malattie, depressioni e violenze patite possono comprometterne la forma. Tuttavia proprio nel dolore, che non va augurato nemmeno al proprio peggiore nemico, il suo mistero emerge in tutta la sua fragile ed indistruttibile bellezza, che va riconosciuta, protetta e amata. Un paio di maniche è la comprensione e la compassione (totali per Monicelli), un altro è la sua approvazione.
Autore: Don Fabrizio
Quaerere!
‘Nova semper quaerere et parta custodire’: così amava esprimersi Sant’Ambrogio, grande padre della Chiesa. Sentenza alla quale ricorreva spesso un laico di enorme spessore come Giuseppe Lazzati. In sostanza è cosa saggia custodire ciò che si è guadagnato e cercare appassionatamente strade nuove. Ovvero coniugare fedeltà e creatività, freschezza e memoria non per il gusto di essere moderni e colti, ma per assecondare lo Spirito che sostiene la tradizione e che nel contempo pacatamente scompiglia. Regola pastorale ambrosiana che mi piacerebbe perseguire ed integrare nel piccolo mondo interiore nel quale spesso la memoria è selettiva e la creatività curiosamente ripetitiva. Ce la farà il Fabrizietto?
Listening!
Ho terminato proprio ieri l’ennesimo corsetto di inglese in quel di Oxford. La pagellina finale non è malaccio, anzi. Tuttavia c’è un elemento che ancora stenta ad irrobustirsi: il Listening (l’Ascolto). Quando ho letto il rapportino della Scuola ci sono rimasto male. Qualcosa di pungente mi colpiva e mi feriva in profondità… dove si annida la mia smania di perfezionismo. Nulla di nuovo per me. Solo la conferma salutare di quanto sia importante recuperare la giusta dimensione, con umiltà. E su questo Listening, faticoso ed incerto soprattutto quando si tratta di comprendere l’Inglese colloquiale, fluido e stracarico di rimandi e di modi di dire (quello che arriva da Radio e TV), si è innestata una riflessione che ha una qualche dignità per essere condivisa. Mi sono interrogato sulla qualità del mio ascolto di pastore. Ascolto tecnico e frettoloso? Ascolto da gossip per non perdere l’ultima? Ascolto distratto o peggio infastidito? Oppure ascolto affettuoso, compassionevole, attento ai ‘dialetti’, ai sottili rimandi, alle sfumature, alle accentuazioni personali? Ascolto paziente e libero di chi non pretende di afferrare immediatamente? Ascolto intelligente e paterno? Pur essendo un povero, mezzo sordo mi auguro di non portare a casa voti scarsi.
Alluvione!
Prima di partire da Meduno, il Vescovo di fronte ai Consigli Pastorali della Valmeduna ha fatto una battuta evocando una simbolica piena: ‘Mi raccomando di non piangere troppo altrimenti il Meduna si carica e Pordenone va sott’acqua!’. Il saluto si è rivelato una esperienza di comunione intensa, talmente intensa da lasciar liberi di andare e di accogliere il nuovo. È il mistero dell’amore che sorprende. Ho provato e provo una sorta di ‘gelosia divina’ che non ha nulla di morboso. Credo sia simile al sentimento che prova uno sposo. Simile a ciò che esperimentava Paolo con le sue amate comunità, simile ancora con l’affetto del Battista che si toglieva di mezzo perchè un Altro potesse crescere. Ho ribadito apertamente che le parole dei miei sforzi educativi uscivano dal grembo della Parola e della parola della mia ferita di fondo, vera storia personale di salvezza. Insomma ero un povero chiamato a sostenere, condividendo la ricchezza della sua povertà, altri poveri. Ho concluso ringraziando, non per dovere formale, ma permettendo che il cuore cantasse la gioia di aver goduto di padri e di madri, di fratelli e sorelle. Ora al nostro si apre la prospettiva di allargare ulteriormente il suo orizzonte, tenendo a bada le sue presunzioni e rimettendosi in ascolto prima di domandare ascolto, come farebbe un buon pastore con le sue pecore.
Musone
‘Egli si indignò, e non voleva entrare.’ (Cfr Lc 15). E’ la reazione del fratello maggiore nella parabola del Padre misericordioso. Si arrabbia forte il nostro amico. Si impunta, si irrigidisce, è tutto tranne che il volto della misericordia. Ho sentito un predicatore dissertare sulla ‘violenza dei giusti’ di cui il fratello maggiore è un degno rappresentante della confraternita. A mio parere è un autentico disastro psicologico, relazionale e spirituale assieme. Invidioso perché il minore se l’è spassata con le prostitute e dopo essersi divertito si gode pure la festa del Padre. Geloso dell’accoglienza del Padre. Ingrato ed incapace di gioire di tutto ciò che condivideva con il genitore. Gelido, infatti non dice ‘mio fratello’, ma ‘tuo figlio’. E talvolta questo disastro lo siamo ad iniziare da noi stessi. Ricordo che, quando a 32 anni scoprii il mostro che si agitava nel mio mondo sotterraneo, volevo prendermi a sberle, a calci. Mi sarei ‘strangolato’ se avessi potuto, senza avvedermi di recitare la parte del fratello maggiore risentito e arrabbiato. Solo allora ho compreso sino alle lacrime quanto è terapeutico ed evangelico imparare a perdonarsi e a non avere troppa fretta di convertirsi.
Umiltà del cavolo
‘Non metterti al primo posto!’ (Cfr Lc 14). Bello insolente questo Gesù, santamente trasgressivo. Non teme di mettere in imbarazzo e di creare disagio. Una straordinaria lavata di testa per il notabile fariseo e la sua ghenga. A Gesù ovviamente non sta a cuore il galateo, ma la regola della vita, in questo caso specifico l’umiltà. A tal proposito, io credo che ci portiamo appresso una immagine distorta di umiltà, per nulla biblica e accattivante. Roba per rinunciatari e miserabili. Ho incontrato alcuni che venivano additati come umili ed in realtà erano solo timidi, imbranati, paurosi. Di quelli che fanno comodo perchè non danno fastidio a nessuno. L’umile secondo il cuore di Dio è uno che naturalmente rinuncia a fare lo sbruffone e il presuntuoso. Ed in chiave positiva, è un tipo che decide di dipendere dalla Verità e che per essa cede il primo posto. Quindi, proprio perchè dipendente da essa, diviene anche coerente, convinto, sicuro, fiducioso e… gioioso. Che pena allora certe nostre deformate rappresentazioni dell’umiltà, e quanto interessanti e fresche le versioni bibliche dell’umiltà, ad iniziare da quella di Gesù. Lui libero di dipendere totalmente, fiducioso, forte e mite.
Turpiloquio
Di Tv ne vedo sinceramente poca. Solo un pò di spezzatino serale facendo zapping qui e là, indugiando su canali a lingua inglese. Amata e adorata lingua. Mi frullano nella memoria settimanale uno spezzone su Maradona (una autentica galleria di gossip semidemenziale), e un servizio ad hoc sulle parolacce e volgarità dei nostri illustri politici nazionali. Vero e proprio trash, spazzatura maleodorante i cui miasmi rimangono nelle narici della psiche, nelle orecchie e nel cuore. Dall’essere sbracati e insulsi si scivola verso la violenza verbale, si conflittualizza, si crea un clima intossicato. Strano e logico insieme che certe vacanze da distensione si trasformino in occasioni di tensione e di confusione. Psicodramma di fine Estate davanti al quale i più scuotono la testa. E fanno bene! Noi li interpretiamo come segnali di chi si disgusta per ciò che è falso e sa di cartone, di quanti amano ciò che merita, che è bello, buono e vero.
Vigilare!
‘Vegliate e tenetevi pronti’ (cfr. Mt. 24). Raccomandazione utile ed intelligente in questa fase di fine Estate dove si rischia di mandare anche la fede a fare la nanna oppure ci si ributta negli affanni quotidiani in modo scriteriato ed impulsivo. Vegliare che non va confuso con una sorta di attesa allucinata. Piuttosto si tratta di un atteggiamento credente, di chi scruta e cerca di intercettare i passi del Signore che si muove nel nostro giardino. Chi veglia in questo modo saprà riconoscere la Sua presenza in ogni frammento di vita, anche quello più umile e discreto. Non starà all’erta solo nelle occasioni solenni e straordinarie. Il Signore ama farci visita attraverso le mediazioni classiche (Parola, Sacramenti, Chiesa…), ordinarie (cuore, eventi, emozioni, persone…) e sovente attraverso il mistero della povertà e dell’inatteso (poveri, peccato, dolore, notte dello spirito…). Non c’è allora tempo per annoiarsi e per attendere invano!
Ansie da spostamento
Non nascondo che in questa fase di cambio, di trasferimento, di uscita e di nuovo approdo pastorale assieme ad una certa tranquillità si mescola e si agita una buona dose di ansia e di, chiamiamola con il suo nome, paura. Lo voglio confidare questo sentimento nella speranza che possa far bene a qualcuno sapere che anche i preti hanno fifa, sono fatti di carne, non sono risparmiati dalla fatica e dalla gioia di cercare, o meglio di lasciarsi cercare da Dio il quale ama incontrare le sue creature dentro alle loro fragilità. Mistero grande, mistero biblico, mistero di ciascuno che lo sappia o meno. A tal proposito ripropongo qui una piccola parte di una risposta sull’argomento paura/angoscia ricevuta da un paio di mesi dal mio ‘fratello maggiore nella fede’ che vigila e accompagna il mio percorso. (…) All’inizio è una paura generale, che infatti dovresti riconoscere nella tua vita e nel tuo modo di gestire anche l’apostolato. Ricordi tutte le volte che mi dicevi che dovevi fare qualcosa di nuovo, che non eri soddisfatto, ma che al tempo stesso la gente era contenta di quel che facevi e che quel che facevi era ben fatto (tutte espressioni d’una certa paura, forse del fallimento), (…) o -più profondamente- paura di te stesso, (…) e chissà se a livello ancor più radicale non c’è anche una certa paura di Dio! Perché può esser importante questa sosta sulla paura che ti vive dentro? Perché la paura ha il potere di sottrarre un grande quantitativo di energia alla nostra psiche, per cui prima o poi ci lascia stremati e con la sensazione d’un grande tormento che ci sconquassa dentro. È precisamente allora che la paura si concentra in uno spauracchio preciso: la morte. Nostra, di chi ci vuol bene o è comunque significativo nella nostra vita. (…) E così il Fabrizietto a quasi cinquant’anni è costretto a riconoscere salutarmente di essere piccolo, bisognoso di recuperare quotidianamente la sua Verità, di lasciarsi a amare da Lui e di imparare ad amare come Lui, di trasformare la paura in storia di salvezza per sé e per i suoi fratelli.
Valigie da preparare
Il 26 Settembre don Fabrizio saluterà le comunità della Valmeduna. Il 17 Ottobre entrerà a Prata. Sarà un pò duretta per il nostro che tra le montagne si trovava non ‘come a casa’ ma ‘a casa’! E’ l’esperienza dell’emigrante in patria o se volete quella più biblica del pellegrino. 23 anni fa disse di ‘no’ ad una sua famiglia preferendo dire di ‘si’ a Dio che lo chiamava e lo seduceva. Ora si ritrova ad avere ed a godere fratelli e sorelle, padri e madri, case e campi… una famiglia insomma ancora nuovamente da lasciare in ragione del Regno. Parte quindi grato e commosso e decide di muoversi sereno ed insieme timoroso, povero e tuttavia felice di spendersi per il Vangelo. Se qualcuno ha due minuti di tempo gli tiri dietro un’Ave Maria.