Il coraggio di progettare

Il titolo suggeritomi “Il coraggio di progettare” contiene un sostantivo che la situazione pandemica, lentamente mutante in post pandemica, invoca. Essa infatti interpella gli animi, e nel contempo le istituzioni, compresa l’ecclesiale, ad un coraggio intraprendente. La relisienza è necessaria ed eroica, ad ogni buon conto da sola non è sufficiente. Alle insidie virali, con le sofferenze e i danni correlati, non basta opporre l’argine della tenacia. Esse domandano di essere superate e trasformate in lezioni dalle quali apprendere ad immaginare nuovi stili e cammini. Ed ecco allora affacciarsi il verbo progettare, da “pro jacere” ovvero “gettare avanti” lo sguardo, con speranza. Beninteso che la Bibbia non è opportuno scambiarla per un “Bignami” pronto per ogni occasione; tuttavia, può essere interrogata circa il progettare, con l’intento di ricavarne alcune linee guida sapienziali. Affondando la mano in tutta libertà per rapinare alcuni fili di perle dal grande baule della Sacra Scrittura, con umiltà, ci vengono sott’occhio alcuni passaggi. Ne scelgo due. Marco, nel primo capitolo del suo vangelo, costruisce volutamente una giornata ideale di Gesù. Emerge in forma schizzata uno “schema progettuale”. Il tempo non veniva impiegato a casaccio o consentendo ai bisogni di volta in volta incontrati di dettare i modi dell’impegno, in una continua improvvisazione e variazione. Egli pregava, predicava, guariva e godeva dell’amicizia. Le ore quindi erano ben scandite dall’attività pastorale, terapeutica, orante e relazionale, anche se non vi era rigidità. L’obiettivo che premeva nell’animo del Maestro stava nell’annuncio del Regno, e il dinamismo missionari andava in qualche modo ordinato per non essere dispersivo. Andando alle Beatitudini di Matteo, contenute al capitolo quinto, troviamo un testo che si presenta tecnicamente come Vangelo, lieto annuncio, voce profetica. Nello stesso tempo, tenendo per vero che una delle connotazioni trasversali dell’opera di Matteo è il “fare”, l’operatività, la concretezza, le Beatitudini si possono considerare un manifesto progettuale. Posto attenzione a non scambiarle per un programma formativo articolato e compiuto, o per un progetto sociale e politico, esse rivelano il disegno complessivo del Padre per i suoi figli. Un disegno da cui si traggono atteggiamenti, indicazioni, principi etici che possono già essere tradotti in valutazioni, scelte, pratiche. Più ancora, sono come un materiale grezzo che andrà elaborato, sviluppato in itinerari, iniziative, cultura… progettualità appunto. Gesù apre il cantiere della salvezza, pone la prima pietra, anzi è la pietra d’angolo (cfr. Mc 12,10), per una costruzione che richiede l’azione dello Spirito e la cooperazione permanente dell’uomo. Lo slancio missionario e operativo dell’evangelizzatore e del costruttore di pace e di fraternità sa inoltre che lo attendono ostacoli ed impedimenti, dai quali può ricevere – per grazia – un misterioso impulso sempre dallo Spirito, così da non scoraggiarsi. A questo punto va detto che il principio e fondamento che ispira e anima la progettualità è l’Incarnazione. Il Figlio si fa uomo, la Parola diventa storia. Dal semino del Vangelo cresce la pianta del Regno, un embrione di Chiesa, che adagio adagio nel lungo percorso storico – attraverso discontinuità, sfide e sperimentazioni – darà vita ad una sorta di grande albero, avvicinandosi al quale si può osservare una strutturazione ecclesiale, la composizione del canone biblico, il sedimentarsi degli studi teologici, la modulazione di forme nuove per l’annuncio, la ricchezza liturgica, la fantasia caritativa, la fecondità culturale… Insomma, una progettualità incalzante, dettata dall’azione dello Spirito. Noi evidentemente siamo coinvolti ad elaborare con metodo e organicamente l’ultimo tratto di strada che arriva dalla spinta dell’Incarnazione. Essa va assecondata con slancio, tenendo ferma la barra per non cozzare nella navigazione sugli scogli di “Scilla e Cariddi”, perciò per una pesca fruttuosa che si tenga lontana dalla tentazione dell’iperattivismo affannato e esagitato o per converso dall’accidia e dall’astrazione. Non ci resta che piegare le ginocchia e… rimboccarci le maniche. Al… lavoro!

Don Fabrizio De Toni

Assistente nazionale Settore adulti AC e Mlac

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