Festa di san Giuseppe 2021 – Mlac

Testo completo del video

Vi è un’opera d’arte su San Giuseppe – siamo nel bel mezzo dell’anno giuseppino a 150 anni dal Decreto che lo dichiarò Patrono della Chiesa Cattolica – che per la forza magnetica-estetica e per l’identità dell’autore mi stupisce sino alla commozione. Più la contemplo e più me ne sento catturato, avvertendo di essere risucchiato nel Mistero del Figlio e di colui che ne fu padre terreno. Mi riferisco a “Giuseppe e il Bambino” di Zec Safet, olio su tela (160 x 83), 2003, esposto nella chiesa parrocchiale di San Giorgio Martire di Fontanafredda (Pordenone). Zec, nato nel 1943, è l’ultimo di otto figli. Musulmano bosniaco non praticante, ha conosciuto ben due emigrazioni forzate dovute alla violenza della guerra. Ora vive, lavora e medita a Venezia. Ha sposato una cattolica e i suoi due figli si definiscono agnostici. Le tele e le incisioni di cui è “padre” possiedono per l’autore una valenza sacra, una ricerca di senso. Appartenente alla corrente del “realismo poetico”, quello che esce dalla sua creatività geniale contiene una visione, un bisogno di senso, una protesta contro le ingiustizie, un gemito di libertà e speranza.

Proviamo ad avvicinarci a Giuseppe e al Figlio in punta di piedi, partendo dal centro, allargando lo sguardo sino ad abbracciare l’ambiente, per ritornare infine sul libro, ovvero l’elemento perno attorno al quale si dispone la scena.

L’attenzione cade immediatamente sullo sguardo paterno, per proseguire nel mettere a fuoco gli sguardi, o – al singolare – lo sguardo di intesa tra il preadolescente Gesù e il genitore. Giuseppe – arrivato alla sua maturità e purtuttavia non anziano e non semi incanutito – conferma e offre il suo assenso al Figlio con il linguaggio degli occhi, rafforzato dall’espressione facciale. Vi si coglie inoltre stupore per le richieste e le risposte del ragazzo, fierezza… tenerezza. La postura (prossemica) dei due rivela una sorta di complicità e libertà. Le altezze delle loro figure, che vanno a disegnare una diagonale, manifestano la dinamica educativa. Il Figlio ha fatto epoché (sospensione) della sua conoscenza divina e accetta i ritmi formativi dell’essere umano. La mano destra di Giuseppe viene posata sulla spalla di Gesù, dando l’impressione di sostenerlo con fermezza e dolcezza. Il padre non avvinghia a sé, lascia spazio di respiro, “aria” e apertura per elaborare il proprio discernimento e percorso vocazionale che appartiene ad un Altro. Le schiene dritte di entrambi, le gambe aperte a forbice, la mano sinistra di Giuseppe cadente dalla sua stessa coscia e priva di arnesi lavorativi, segnalano un dialogo concentrato, rilassato ed intimo. Vi è un ordo, un Mistero, una storia di salvezza nella quale si stanno inoltrando e che stanno interpretando nella semplicità e nel silenzio di una bottega artigianale. Sopra uno sgabello da carpentiere è steso un canovaccio, su cui è collocata la colazione con della frutta in un piatto, che lascia intuire un cammino fecondo, generativo, pasquale. Quell’uva dovrà essere spremuta dal torchio della croce e dell’amore. Il pane – evidente rimando all’eucaristia – racconta di un dono di sé totale ed inclusivo: al banchetto della risurrezione nessuno sarà escluso. Il grembiule verosimilmente di cuoio di Giuseppe – che un giorno indosserà il Figlio sempre rimanendo “in basso” per la lavanda dei piedi –, il banco di lavoro alle loro spalle, con la morsa, la pialla e gli altri distinguibili attrezzi tipici del falegname descrivono un contesto e una vita spesa nell’attività lavorativa.

È altamente plausibile che entrambi abbiano lavorato per anni – in qualità di carpentieri, manovali, muratori (tekton) – al grande cantiere di Seffori, città distrutta dai romani e fatta ricostruire da Erode, situata a 6 km da Nazareth. Fin dalle prime pagine di Genesi veniamo informati che Dio ha lavorato in qualità di artista, di artigiano, di architetto, trovando buone e molto buone (tob) le sue opere, e dandosi dei tempi di riposo dopo l’attività creatrice: «Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto» (Gen 2,2). Il Signore coinvolge come partner affidabili l’uomo e la donna nel grande cantiere della creazione, che potremmo immaginare, sulla scorta della fantasia interpretativa di Zec Safet, similare ad una enorme bottega. “Ambiente” nel quale armeggiare dando un apporto di originalità, recuperando la percezione della propria dignità, trovando le risorse per mantenersi e costruire casa (oikos), economia, cultura, ambiente fisico e relazionale, bene comune, fraternità. Patris Corde (con cuore di padre), Lettera apostolica con la quale Papa Francesco ha indetto l’anno giuseppino, così recita in un suo passaggio: «Il lavoro diventa partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione; il lavoro diventa occasione di realizzazione non solo per sé stessi, ma soprattutto per quel nucleo originario della società che è la famiglia. Una famiglia dove mancasse il lavoro è maggiormente esposta a difficoltà, tensioni, fratture e perfino alla tentazione disperata e disperante del dissolvimento».

Dalla veste bianca, ancor più accesa rispetto a quella di Giuseppe, che lascia nude le parti del collo e della spalla di Gesù, emerge il candore dell’agnello innocente, sacrificale, e nel contempo del Figlio trasfigurato e risorto. Eccolo infine il libro aperto. Spiazzante che il Verbo, la Parola, il Figlio si immerga nella lettura della Parola Sacra, di cui è autore: il Logos si piega sul Logos. Gesù legge, medita, si interroga e… si confronta con il padre, non per nulla i suoi occhi consultano quelli paterni e il suo gomito sinistro si appoggia in un atteggiamento confidenziale sulla coscia dell’adulto. Quanto è decisiva l’opera educativa del padre – oggi ahimè defilata se non assente rispetto a quella della madre – che può autorizzare il figlio, vale a dire dare autorità al figlio di divenire adulto, lavoratore, libero, costruttore fecondo. In ascolto, ecco il significato del libro aperto, di un Padre che di tutti – ad iniziare dalla relazione unica con il Figlio – è sorgente generativa.

Don Fabrizio De Toni

Assistente nazionale del Mlac

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