Da una società paterna moltiplicazione di lavoro e lavori

Particolare di “San Giuseppe falegname” di Georges de La Tour
(1642 circa). 137×102 cm. Museo del Louvre, Parigi

Note a margine di “Patris corde

L’8 dicembre di quest’anno – a sorpresa – Papa Francesco è uscito con una Lettera apostolica dal titolo “Con cuore di padre”, che di fatto istituisce un anno da dedicarsi alla figura di San Giuseppe, padre putativo di Gesù, per meditare e celebrare la figura del celebre padre. La scelta trascende motivazioni convenzionali di spicciola devozione. In un tempo di crisi globalizzata di varia natura – etica, educativa, economica… aggravata ulteriormente per l’arrivo del virus killer – si intende fornire vie di fiducia. Una riguarda miratamente il lavoro e, precisamente, la Lettera al cap. 6° recita come titolo: “Padre (San Giuseppe ovviamente) lavoratore”.

Le società contemporanee, in primis quelle occidentali, più che paterne e generative assumono il volto di città arcigne, inospitali, fatte per i privilegiati e/o solo per chi già c’era da tempo. Potremmo definirle quindi: patrigne. È in atto una insidiosa tensione intergenerazionale tra adulti, che non mollano il posto di lavoro e non avviano processi di trasformazione ed inclusione lavorativa, e giovani che si scoraggiano (la famosa “neet generation”) o che covano una sensibilità ostile ai “vecchi”. Sapientemente e anticipatamente Papa Francesco non si preoccupa solo di favorire un principio di sana intergenerazionalità, bensì sollecita i corpi sociali ad acquisire una cultura e sensibilità paterna, generativa, costruttrice intraprendente e creativa di un futuro dove ci sia lavoro dignitoso che non estrometta nessuno, ad iniziare dai più giovani e svantaggiati.

Nelle note della Lettera San Giuseppe viene definito come padre “casto”. Ebbene, se le società, le organizzazioni, le città… gli adulti non imparano la castità, assumono strategie “impure”, possessive, ingorde, predatorie, si induriranno in una sterilità educativa, culturale e perciò anche economica, il cui esito alla fine sarà sterilità e scontentezza. Da tale prospettiva economico-culturale si possono evocare le potenzialità distruttive o le virtualità feconde sull’intero ecosistema ambientale ed umano.

Lungo i secoli, nella predicazione su San Giuseppe e il bambino/giovane Gesù probabilmente si è enfatizzato romanticamente l’apprendimento lavorativo nella bottega paterna. Oggi gli studi propendono per stabilire che, con ogni probabilità, il giovane di Nazaret trascorse anni nella “compagnia” dei discepoli del Battista, a scrutare le Scritture – immerso nel silenzio – e discernere la missio da intraprendere. Ciononostante, di sicuro – senza dover scomodare i Vangeli apocrifi – il piccolo Gesù ha armeggiato nell’officina di casa. Inoltre è parecchio verosimile la tesi che, assieme al padre Giuseppe, sia stato ingaggiato nella ricostruzione della vicina città di Seffori, distrutta dall’esercito romano nel 4 a.C. in seguito ad una ribellione, e trasformata quasi immediatamente da Erode Antipa in un gigantesco cantiere.

Il Vangelo è la prima fonte di Dottrina sociale della Chiesa, che viene praticata prima ancora di essere insegnata dallo stesso Gesù, artigiano-carpentiere come il padre. Quindi il Figlio assaggia la fatica, suda, apprende delle competenze professionali, apprezza la dignità del lavoro e il suo impatto sul cuore umano, gusta la bellezza di adoperare intelligenza e mani.

Papa Francesco esorta a recuperare la grammatica del lavoro, funzionale al bene dell’uomo e non all’accumulo di beni (di pochi). La disoccupazione, le ingiustizie sociali, la concentrazione scandalosa di ricchezze comporta degli impatti devastanti, ad iniziare dal tessuto e dalla tenuta famigliare. Il magistero di Bergoglio non perde occasione per stimolare ad una conversione delle priorità e dei modelli, ad una new economy. Desta stupore, pur non essendo una novità, osservare una sintonia sostanziale tra le visioni orientative e sapienziali di Bergoglio e i 17 obiettivi che le Nazioni Unite si sono dati con l’Agenda 2030. L’8° recita in un facile inglese “Decent Work and Economic Growth” (Lavoro dignitoso e sviluppo economico). Per quanti vogliano approfondire si rimanda al seguente link < https://www.un.org/sustainabledevelopment/ > .

Ed è interessante notare come gli altri 16 goals (obiettivi) concorrano di fatto a sostenere l’8°, quasi fosse il loro fratello più fragile ed insieme il loro punto di raccordo fondativo.

In un’opera della sua maturità artistica, il “Caravaggio francese” Georges de la Tour esprime il suo genio in “San Giuseppe falegname” (Louvre – 1642). Riportiamo qui solamente un dettaglio. Suggestivo lo sguardo paterno, consapevole e commosso, di chi si concentra sul Figlio, termine educativo del lavoro. Agli occhi dell’adulto corrispondono quelli dell’adolescente che, con le labbra socchiuse, rivelano stupore e gioia per aver appreso un dettaglio di abilità. Le dita della mano dell’adolescente, che riparano il lume in una bottega dall’atmosfera silenziosa e notturna, lasciano intravvedere in trasparenza le unghie sporche, segnale di un lavoro non pensato ma effettuato. La luce, a ben considerare, esce dall’incarnato del volto. A Natale Colui che è «la luce degli uomini» (Gv 1,4) mostrerà il suo volto, illuminerà il volto di padri e figli, rivelerà così il volto misterioso e tenero del Padre, e… racconterà il suo sogno sul lavoro e sulla famiglia umana.

Don Fabrizio De Toni

assistente nazionale Settore Adulti AC e Mlac

Dalla Newsletter del Mlac

https://mlac.azionecattolica.it/sites/default/files/Newsletter_20dicembre2020.pdf

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