Precedenze

Lavatorio de los pies completo

 

 

L’articolo del sociologo Luca Diotallevi, pubblicata su La Rivista del Clero Italiano del novembre dello scorso anno, mi intriga non poco. Con i dati in suo possesso, enfatizza il fatto che le associazioni ecclesiali dell’AC e dell’Agesci possiedono una quota di iscritti maggiore a tutte le altre formazioni cattoliche, movimenti e associazioni, presenti nella realtà italiana. Evidenzia come una pastorale organica e strutturata non è andata ancora in pensione. Con questo non si vuole stabilire una stupida equazione, dando per scontato che AC e Agesci possiedono il monopolio degli itinerari organici e strutturati. L’analisi di Diotallevi sottolinea piuttosto come organicità e strutturazione siano un criterio fondamentale e strategico, direi prevalente su ciò che è flessibile e sciolto. Parla uno che ama la libertà e l’innovazione. Organicità e strutturazione infatti conferiscono solidità alla proposte pastorali ed innescano dei ‘processi’ (come ama definirli papa Francesco), dei percorsi virtuosi che riescono a modificare/riformare in modo profondo l’azione della chiesa. In altre parole l’ordinario è prevalente sullo straordinario, il cammino sulla sequenza di eventi, la cura per ciò che è sostanziale sull’estemporaneo. Se è coerente la riflessione condotta sin qui, è ai ‘processi’ pastorali che va data precedenza. Tra questi si annoverano certamente, per quanto riguarda la nostra diocesi, la riforma del tessuto della chiesa locale nella forma delle Unità Pastorali, il progetto catechistico ‘Alfabeto della fede’, i percorsi di formazione per animatori di Pastorale Famigliare, lo sforzo del CPAG (Centro di Pastorale Giovanile) per qualificare gli operatori dell’ambito. Essi rientrano nella logica della strutturalità. Tendono ad avviare una pastorale integrata, ad incrementare una cultura della corresponsabilità, a spostare il tiro sugli adulti smettendola di essere puerocentrici, ad impostare un servizio ecclesiale dinamico e missionario. Ora, i nuovi scenari pastorali sottopongono ad uno sforzo di conversione pastorale notevole. Esso domanda studio, discernimento comunitario, coinvolgimento laicale, superamento di logiche autoreferenziali… insomma un sacco di energie. Cosi in molti stanno alzando la manina, invocando ‘alibandus’! Si moltiplicano coloro che danno dei segnali di affaticamento, di logoramento, di burn out o sindrome dello ‘scoppiato’. Si invoca un ritmo rallentato, una ridistribuzione dei carichi, uno spirito di pazienza. Tutto vero e da prendere in considerazione. Tuttavia, c’è come uno strabismo, un ostinarsi a concentrarci sull’esterno, sulla quantità e modalità delle cose da fare. Siamo proprio sicuri che la radice del malessere stia all’esterno, in una gestione operativa da razionalizzare? O non piuttosto vada cercata all’interno, nel proprio cuore, in motivazioni ‘altre’, le quali si inseriscono accanto alla passione del Vangelo bruciando una quantità smisurata di energie. Tra queste: l’invincibile mania di tener tutto sotto controllo, l’accanimento nell’arrivare ovunque, il bisogno di affermare le proprie idee e gusti, l’incapacità di incassare gli insuccessi che ci prostrano e umiliano. Intendo dire che la precedenza è dell’interno sull’esterno, della verità di sé sulla chiarezza organizzativa, dell’ordo del cuore sull’ordo dei progetti. Sono convinto che ciò che sta accadendo alla chiesa che è in Italia, soprattutto del Nord, è una sfida provvidenziale per una quaresima autentica, e per una vera esperienza di misericordia.

Febbraio 2016 Testo pubblicato su Collegamento Pastorale

della Diocesi di Concordia-Pordenone

 

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