La memoria del Natale mette in evidenza la nostra identità: non siamo una masnada di disperati o un branco di sbandati, ma creature amate da sempre da Dio e perciò chi-amate da Lui. Dio è talmente affezionato a noi da prendersi cura come una madre della sua creatura. È nato tra le nostre case. Mosso da tenerezza intende condividere la nostra storia e coinvolgerci nei suoi disegni. Detto diversamente: la vita è un dono ricevuto per pura grazia (Dio ci ama e ci chiama all’esistenza), e nello stesso tempo la vita è un dono da donare, da restituire (Dio proprio perché ci ama, si avvicina e ci chiama a fare come Lui, ad amare). Questa è la vocazione di fondo che compete ad ogni creatura che lo sappia o no.
La Chiesa: la casa dei chiamati. Se quello che dicevamo viene preso sul serio, la Chiesa diventa la compagnia di coloro che liberamente si mettono in ascolto, e gioiosamente rispondono alla chiamata, si decidono di collaborare con Dio. E in virtù del fatto che si sentono chiamati e attratti da Dio, riescono a loro volta a diventare chiamanti, attraenti, provocazione per altri. Eccola la Chiesa che piace a Dio: una Chiesa di chiamati e di chiamanti, una Chiesa vocazionale. Una delle cause della crisi vocazionale dei consacrati sta proprio qui: nella debolezza di una cultura vocazionale, di un modo di intendere la vita come dono ricevuto e da spartire. Se viene meno l’attitudine a dare, se non ci si sente chiamati a spendere la vita con gratuità, allora l’entrare in Seminario diventa roba per pochi isolati eroi dello spirito, magari troppo seri e anche un po’ tristi. Più che di Chiesa di chiamati diamo l’impressione di essere così la Chiesa dei clienti… occasionali ed esigenti. Diventiamo i consumatori di ‘articoli religiosi’: di Messe, di Sacramenti, di cose sacre. Scambiamo casa nostra per una bottega… per finire che a furia di consumare non resti più nulla.
La sofferenza: il luogo della chiamata. In questa visione delle cose, la fatica, la crisi, la prova, la sofferenza anche quella più assurda e dura è una sorta di grembo dove Dio si muove e cresce, diviene un luogo ideale dove Lui chiama e ama. È paradossale quello che sto dicendo, ed in realtà la prima reazione di fronte al dolore è la rabbia, la percezione che Dio è lontano. Ma è proprio nel buio, nella notte, nel vuoto che Lui può agire con maggior libertà. Lì a contatto con la nostra povertà vulnerabilità, messi in ginocchio nella nostra impotenza ci è dato di fare esperienza di che cosa significhi finalmente essere amati. Rimane solo Lui: Madre che non abbandona il figlio, Padre di cui ci si può fidare. Amati così per quello che siamo intuiamo che non possiamo buttarci via, ma che siamo chiamati a tirar fuori il meglio di noi. E guarda un po’ iniziamo a rispondere finalmente alla nostra vocazione, diventiamo fecondi e portatori di vita, noi che ci consideravamo solo sfortunati, castigati e disperati.
I sentimenti: l’eco della chiamata. Dio chiama le sue creature a stare di fronte a Lui, e così mette dentro, in profondità un bisogno di vita, di libertà, di pienezza… un bisogno di Lui. Solo Dio può saziare tale desiderio potente ed intenso. Dalle radici della nostra anima sale una voglia assoluta di pace. È una voglia, una fame che non si sazierà sin che non riposeremo in Dio. Ecco perché i Padri della Chiesa e gli autori di vita spirituale affermano che ogni desiderio se analizzato nella sua origine è un desiderio di Dio, anche i desideri deviati e oggettivamente cattivi. Intendo dire che se impariamo ad ascoltare la nostra anima, se apprendiamo a valutare ciò che accade con uno sguardo intelligente (intelligente deriva da intus legere, leggere dentro) comprenderemo che in partenza ogni sommovimento del cuore, foss’anche rabbia, odio, cupa disperazione, è a ben considerare, ricerca di pienezza, voglia di libertà, nostalgia di Dio. Da qui possiamo affermare che nessuno di noi è inadatto alla vocazione della vita. Anche i ‘lupi’ e non solo gli ‘agnellini’ e i mansueti, se presi e se si prendono per il verso giusto, possono fare la loro parte positiva. Se questo è vero possiamo ritenere che il mondo per quanto pazzo e conflittuale sia non è mai perduto e disprezzabile.
Ora, caro amico, vedi come l’Eterno celebra il suo Natale assediandoti ovunque ma senza forzature, cerca di sedurti ma lasciandoti libero, si mette nel bel mezzo dell’ultimo posto dove ti aspetteresti di trovarlo: Lui ama e chiama. Tu piuttosto dove sei? Buon Natale!
(Natale 2005 – dal Bollettino delle Parrocchie della Val Meduna)
Ho sognato che camminavo in riva al mare con il Signore
e rivedevo sullo schermo del cielo tutti i giorni della mia vita passata.
E per ogni giorno trascorso apparivano sulla sabbia due orme:
le mie e quelle del Signore.
Ma in alcuni tratti ho visto un sola orma.
Proprio nei giorni più difficili della mia vita.
Allora ho detto: “Signore, io ho scelto di vivere con te
e tu mi avevi promesso che saresti stato sempre con me.
Perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti difficili?
E lui mi ha risposto: “Figlio, tu lo sai che ti amo
e non ti ho abbandonato mai:
i giorni nei quali c’è soltanto un’orma nella sabbia
sono proprio quelli in cui ti ho portato in braccio”.
Questa è una poesia scritta da un autore anonimo brasiliano.
L’ho letta la prima volta circa una trentina d’anni fa, nel periodo in cui ero vedova e mi diede molta forza e consolazione, e da allora mi è sempre stata molto cara.