I quattro cantoni

In Seminario un tempo sotto i grigi portici andava forte il gioco dei 4 cantoni. Era richiestissimo e non costava un soldo. Bastavano appunto quattro cantoni. Quindi quattro di noi occupavano i quattro cantoni e un ‘pandòlo’ stava nel mezzo cercando di accaparrarsi un ‘cantone’ quando i quattro alleati dovevano scambiarsi di posto. Chi rimaneva senza ‘canton’ era il ‘pandòlo’ di turno. Oggi, ad una osservazione non superficiale, non sfugge una certa perdita di ruoli, di identità. Si va ad occupare il ‘canton’ dell’altro perdendo di vista il proprio.

Lo schema può risultare sgangherato… ma mi sembra possa funzionare per descrivere la perdita di identità, la confusione dei ruoli e dei progetti di vita, i profili un tantino scolorati dei figli e degli adulti. Compresi quelli dei preti! Evidentemente! Non può sfuggire come nei nostri vivai educativi ci sia l’affollamento di bimbi precoci.

Le mamme e soprattutto le nonne vanno pazze per il loro pargolo  sveglissimo. Ecco il punto: talmente sveglio da atteggiarsi da adulto, sicuro di sé, autonomo ed intraprendente. Lo stesso pargolo lo si ritrova poi diciottenne imbranato, mammone ad oltranza, incapace di uscire dal nido affettivo. Strano questo ribaltamento di ruoli.

I padri poi più che occupare il loro posto, assolutamente non per cattiveria, ma per impostazione generale del modus vivendi, rischiano di disertarlo anche fisicamente. Talvolta diventano al loro rientro in casa autoritari ed insopportabili, proprio per recuperare il tempo perso, o si trasformano in mammi, amici e fratelli dei loro figli, ricoprendo atteggiamenti materni che non si addicono al padre, finendo per non dare sicurezza ed orientamenti. Le avete viste poi certe mamme trasformarsi per reazione in adulti aspri e troppo determinati, non dando al figlio l’accoglienza e il calore che generano fiducia e stima di sé?

Qualcuno lo ha chiamato provocatoriamente ed  umoristicamente un ‘Ballo in maschera’… deprimente e divertente al tempo stesso. Chiaro: è una linea critica di interpretazione delle relazioni umane, soprattutto famigliari, da integrare con altre valutazioni e di altro segno. Nessuna volontà di incupire… ma solo di pro-vocare, di richiamare all’assunzione della propria identità vocazionale.

Il Natale và in questa direzione. Dio occupa il suo posto. E avanti alla sua identità emerge la nostra di identità, il nostro essere figli e figli amati. Sia questo un Natale formativo. Mettersi davanti al Tu di Dio non è una operazione puerile, da presepio senz’anima. Questo Tu celebra il nostro Io, lo fa uscire dalla confusione, lo definisce e lo chiarisce. Lui nasce… e sarà come rinascere.

(Natale 2004 – dal Bollettino delle Parrocchie della Val Meduna)

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One thought to “I quattro cantoni”

  1. Il ‘mestiere’ di genitori penso sia il più difficile di tutti. Trovare il giusto equilibrio è davvero un’impresa ardua.
    Genitori non si nasce ma lo si diventa un po’ alla volta, crescendo in quel ruolo man mano che i figli diventano grandi. E’ un compito quindi soggetto a un’evoluzione costante e che ha bisogno di tutto il nostro impegno e di tutte le nostre energie. Ma tutto questo non basta (guai a quell’uomo che confida solo in se stesso!). Io ho sempre trovato aiuto e conforto nella preghiera, anche adesso che i figli sono cresciuti. Genitori lo si è per tutta la vita.

    Ricordo che già da ragazza sognavo di avere due o tre figli. Il motivo per cui mi sono risposata è stato proprio questo: volevo portare a compimento quel progetto di famiglia che era stato così bruscamente interrotto. Sono grata al Signore per avermene dato l’opportunità.

    Mi capita spesso di tornare indietro con la memoria a quando i figli erano piccoli e mi accorgo di avere commesso degli errori. Errori che adesso non rifarei più. Il fatto è che i figli si mettono al mondo da giovani, quando non si ha ancora molta esperienza e maturità. Inoltre negli ultimi quarant’anni c’è stato uno stravolgimento di mentalità epocale che ha disorientato tutti, e le famiglie sono rimaste in balia di se stesse e delle mode.
    Ho toccato con mano questa realtà negli anni novanta, quando i miei figli frequentavano le scuole elementari ed io ero catechista e rappresentante di classe dei genitori.
    Un gruppetto di genitori che come me avevano preso coscienza del problema, pensò bene di organizzare, in ambito scolastico, un corso per genitori simile, o forse uguale, a quello organizzato lo scorso anno dal comune di Prata.
    In seguito anch’io ne organizzai uno, sempre in ambito scolastico, e sempre rivolto ai genitori, sull’educazione alla sessualità da fare ai figli. Mi avvalsi dell’ausilio del Consultorio Noncello che sapevo essere di orientamento cattolico. L’operatrice mi disse che veniva chiamata a tenere quel corso, della durata di quattro o cinque incontri a cadenza settimanale, anche nelle parrocchie. La notizia mi confortò: era segno che anche la chiesa si stava rendendo conto che il catechismo da solo non era più sufficiente a far fronte all’emergenza educativa e stava cercando altre strade per andare incontro ai bisogni delle famiglie.

    Leggendo i risultati dei questionari dopo l’elezione del Consiglio Pastorale lo scorso anno, ho avuto la conferma di questa presa di coscienza (ce ne sono voluti di anni!), e questo è un segno di speranza per l’avvenire.

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