Pentecoste: lo Spirito ‘concerta’ le differenze

Audio Omelia del 27.05.2012

Domenica 27 maggio 2012

Letture:   At 2,1-11; Sal 103; Gal 5,16-25; Gv 15, 26-27; 16, 12-15

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

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Ascensione: presenza-assenza del Risorto

Audio Omelia del 20.05.2014

Domenica 20 maggio 2012

Letture:  At 1,1-11; Sal 46; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, [ Gesù apparve agli Undici ] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

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Amore e fraternità nella comunità ecclesiale

Audio Omelia del 13.05.2012

Domenica 13 maggio 2012

Letture:  At 10, 25-27. 34-35. 44-48; Sal 97; 1 Gv 4, 7-10; Gv 15, 9-17

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

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La vite e i suoi frutti: aspri o maturi

Audio Omelia del 06.05.2012

Domenica 6 maggio 2012

Letture: At 9,26-31; Sal 21; 1 Gv 3,18-24; Gv 15,1-8

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

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Il buon pastore e le vocazioni dell’uomo

Audio Omelia del 29.04.2012

Domenica 29 aprile 2012

Letture:   At 4,8-12; Sal 117; 1 Gv 3,1-2; Gv 10,11-18

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

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Strumenti di discernimento per il credente

Audio Omelia del 22.04.2012

Domenica 22 aprile 2012

Letture:   At 3,13-15.17-19; Sal 4; 1 Gv 2,1-5a; Lc 24,35-48

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus narravano agli Undici e a quelli che erano con loro, ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

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Gesù ‘soffiò’ lo Spirito e i dubbi di Tommaso

Audio Omelia del 15.04.2012

Domenica 15 aprile 2012

Letture:   At 4,32-35; Sal 117; 1 Gv 5,1-6; Gv 20,19-31

Dal vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

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Pasqua: risurrezione e speranza

Audio Omelia del 08.04.2012

Domenica 8 aprile 2012

Letture:   At 10, 34a. 37-43; Sal 117; Col 3, 1-4; Gv 20, 1-9

Dal vangelo secondo Giovanni
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

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Il chicco di grano che muore dà frutto

Audio Omelia del 25.03.2012

Domenica 25 marzo 2012

Letture: Ger 31,31-34; Sal 50; Eb 5,7-9; Gv 12,20-33

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».
Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

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Disgregato e…disgregante!

Titolo curioso… o forse solo rompicapo inutile e che non merita investimento di energie… per me è una tesi interessantissima e verissima. Non intendo fare accademismi… senza averne i titoli, ma occuparmi della vita nella sua concretezza. Il titolo dice una cosa semplice pur nella sua complicazione espressiva: ciò che fa parte di noi e che non viene integrato (e quindi disgregato) nella nostra identità e nel nostro progetto vocazionale va per forza di cose per ‘gli affari suoi’ e, dal momento che comunque è un pezzo di noi, disturba, rovina, risulta come una sorta di palla al piede, addirittura può funzionare da elemento pericoloso, in ogni caso diviene disgregante. È una legge umana direi inevitabile. Ora mi piacerebbe operare un doppio sguardo: verso il passato e verso il futuro e cercare di dimostrare come tale tesi sia assolutamente attendibile. E cioè: una memoria, un passato non  integrato, con il quale non ci siamo riconciliati tende a disgregare, a far sentire il suo condizionamento, a toglierci libertà emotiva e intellettiva. Ancora, un presente e un futuro prossimo che contengono degli elementi che vengono percepiti come ostili, preoccupanti o quanto meno sgradevoli, che stentiamo a gestire in modo intelligente agiscono su di noi portando confusione, ansia, togliendoci libertà, destabilizzandoci, disgregandoci appunto. Fatta questa premessa, possiamo partire guardando il passato, la nostra storia personale o comunitaria. Pochi lo sanno, ma in tutti è presente e viva, esiste una memoria affettiva. L’essere umano registra le sue emozioni, soprattutto quelle a forte intensità e non le dimentica. Si perde la memoria dell’accadimento, dell’esperienza concreta, ma rimane in noi, come traccia indelebile, l’emozione generata da quella precisa esperienza. L’emozione archiviata poi esce, talvolta in modo dirompente, davanti a un qualsiasi motivo che anche solo per collegamento simbolico e vago richiama la prima esperienza. C’è in noi quasi una scatola nera contenente le emozioni primitive e che determina gusti, simpatie e antipatie, paure, desideri… Qualche autore sostiene che la memoria affettiva sia allora la madre del nostro presente e del nostro futuro. Non di rado capita che questa madre sia più matrigna che benigna. Facciamo un paio di esempi di segno opposto. Uno positivo. Un bambino nell’età della Scuola d’Infanzia o nei primi anni del Catechismo (pensiamo solo alla Messa di Prima Comunione) che sedimenta dentro di sé davanti alle immagini e alle esperienze del sacro un sentimento di stupore, di gratitudine, di fascinazione, avvertirà nella stagione dell’adolescenza o della maturità, con maggiore facilità, la percezione dell’incanto per ciò che è divino, nelle sue crisi sarà portato a ritenere che probabilmente di Dio ci si può fidare, nella sua ricerca di senso proverà attrazione per ciò che il Vangelo ritiene buono, vero e bello. L’emozione integrata, coerente con un progetto di vita aperto alla fede, si rivelerà integrante, consentirà di leggere e accogliere le benedizioni del Signore disseminate lungo il cammino, abiliterà a mettere in ordine la propria storia intorno ad una offerta educativa credente per la quale ci si può fidare, ad apprezzare la propria vera identità di creatura ad immagine somiglianza di Dio, da sempre amata da Lui e chiamata a fare come Lui. Un adulto che non abbia una memoria religiosa di questo tipo o non l’abbia affatto, sarà un adulto orfano, sicuramente più povero… senza memoria affettiva, senza ‘madre’, disintegrato e smarrito. Andiamo ora ad una memoria affettiva di segno  negativo. Classico è il profilo che colui che ha intrattenuto con il padre una pessima relazione, portandosi dentro rabbia, rancore, fastidio, umiliazione, ribellione. Il figlio incompreso e mal-trattato davanti a tutto ciò che suona come autorità e imposizione sarà spinto ad agire in termini aggressivi, con la conclusione che talvolta penserà di essere un amante della giustizia, un uomo dall’alto senso della libertà, che non tollera forzature e arroganze, una specie di profeta che reagisce alla protervia altrui… senza avvedersi che sta lottando contro suo padre, il padre dell’infanzia, rispondendo alla tracotanza, o a ciò che lui giudica come tale, con altrettanta tracotanza, se non peggiore della prima: poveretto! Il tutto senza cattiveria (si capisce), perché gli sfugge la motivazione profonda, la radice del suo ‘santo’ disagio. Vedete come la memoria affettiva plasmi il presente, lo generi come una madre genera il figlio. Si comprende allora come sia utile e furbo imparare ad integrare la memoria affettiva, perché sia reale energia che aiuti e non disgreghi la nostra vera identità. Per guarire la memoria affettiva, sempre in parte ammalata perché le botte che prende in genere non vengono curate per tempo, si deve mettere le mani su di un materiale che non richiede, per essere individuato, l’accompagnamento di un esperto. Sto parlando della memoria storica: questa sì è chiara nella mente. È la memoria dei fatti non dimenticati, degli incontri, del percorso famigliare, amicale, lavorativo… ecclesiale. Una memoria affettiva poco sana, non guarita va a braccetto, quasi fosse la sorella preferita, con una memoria storica poco piacevole, ingrata, più o meno sofferente… disgregata e quindi disgregante. Gli scontenti, i brontoloni, i pessimisti, gli acidi sono, se guardati da vicino, perennemente in lotta con il loro passato remoto e recente. Vita infelice la loro, proprio perché il passato è sentito e ricordato come triste. Se non proprio infelice, almeno inquieta, velata di nervosismo e di pessimismo, poco gioiosa. Ciò che è stato viene visto come un campo di battaglia o come una sporta pesante da portare: malattie e prove, insuccessi, genitori non all’altezza, preti non all’altezza, amici insinceri, figli inconcludenti e torvi, e come se non bastasse, un Dio muto, impotente. Un passato degno solo di essere dimenticato, rimosso o di cui ricordare solo un parte… una storia non ben integrata e, come si può capire, disintegrante se non altro di una certa legittima e possibile serenità (che immancabilmente scappa). L’operazione di fondo da fare e rifare quotidianamente è la riconciliazione (l’integrazione) della memoria storica. Tutto il nostro percorso va accettato, guardato, preso così com’è. Ogni gesto e ogni silenzio, ogni gioia e ogni patimento, ogni volto e ogni immagine, ogni successo e ogni peccato. Accettare, va da sé, non significa approvare con olimpionica ingenuità, ma consentire che ciò che è stato sia. Accettare è permettere alla realtà storica di essere quella che è, senza eccessive vergogne e disperazioni. L’operazione suddetta da sola non è sufficiente. E’ basilare, ma fermarsi qui sarebbe roba per uomini psichici che non si aprono ad un reale cambiamento, ad una liberante conversione-integrazione. L’altro passo, assolutamente essenziale, è la gratitudine. Nessuno di noi è così sfortunato da non aver motivi per cui ringraziare. Chi con pazienza e con stupore impara a recuperare il cordoncino rosso delle benedizioni che gli uomini e Dio gli hanno accordato e che attraversa tutte le tappe della vita e che si fa ancor più robusto e riverberante dentro alle sue zone buie, s’accorgerà di essere creatura desiderata e  amata, da sempre. Intuirà che non è uno sgorbio frutto del caso, ma un figlio che può  avanzare con speranza, un dono che andrà condiviso con gli altri. La memoria affettiva ferita inizia così a guarire, le emozioni primitive di svilimento lasceranno spazio a sentimenti positivi, si muteranno in emozioni di fiducia. Eccola la memoria ’vera’, affettiva e storica insieme, grata e fiduciosa, la memoria-madre feconda di un presente e di un avvenire che si possono affrontare con entusiasmo, con generosità perché certi di essere stati ben voluti, perché sicuri di essere stati amati, sicuri di valere, convinti di  essere capaci di amare, desiderosi di ricambiare. Interessanti questi ottimisti non stupidini, che non si sforzano di presentarsi con un sorriso ebete, ma che sorridono alla vita perché hanno appreso ad integrare la loro vita. Riguardo al futuro il meccanismo è il medesimo: tutto ciò che sta di fronte come possibilità e che non sappiamo digerire e gestire tende ad attaccare la nostra identità, a metterci sulla difensiva, a disgregarci. Mi sia consentito di focalizzare l’attenzione sul futuro pastorale. Nei prossimi 5 anni con ogni probabilità lo sforzo della pastorale diocesana mirerà a riconfigurare il tessuto pastorale in unità-zone pastorali, dove le singole identità parrocchiali non si dissolvono in un polverone caotico, ma divengono alleate e sorelle. Il progetto è indotto indubbiamente da un rapido invecchiamento del clero e dai nuovi ingressi in Seminario ridotti al lumicino, ma nello stesso tempo dalla volontà di far fronte alla tentazione di una vita presbiterale autoreferenziale (della serie la mia Canonica, la mia Parrocchia, il mio gruppo, le mie  irrinunciabili e geniali idee…) e di una vita pastorale altrettanto autoreferenziale (il mio campanile, il mio prete, le mie suore, il mio Grest, ecc.). Dentro a questo panorama è evidente il limite: mancanza di preti, mancanza di suore, mancanza se non assenza di laici preparati, mancanza di ricette funzionanti… aumento di ‘pecore smarrite’ o che semplicemente preferiscono brucare altri foraggi e frequentare altre valli, svuotamento domenicale, inappetenza di fede… Se il limite non viene integrato e vissuto come una straordinaria opportunità, allora immediate sono le reazioni disgreganti o perlomeno insufficienti. E allora si passa da un approccio tecnico, di chi pensa di abbassare l’ansia esclusivamente moltiplicando piani-progetti-verifiche. Si dice che quando si sa dove  andare, con competenza, allora ci si sente meno inadeguati e pian piano si recupera (o si finge di recuperare) gusto e convinzione. In questo sforzo quasi puramente di ingegneria pastorale dove sta l’anima del Pastore-Amante del suo gregge? Non ne viene fuori piuttosto un profilo da ‘operatore-meccanico pastorale’, da controllore della situazione che rischia di non controllare un bel nulla e di trovarsi più ansioso di prima? E si arriva ad un approccio aggressivo e disfattista di chi profetizza solo implosioni e collassi pastorali, di chi ritiene praticamente impossibile metter due preti sotto lo stesso tetto perché cresciuti con il mito del Parroco-Papa-e-Re e non tiene conto di non essere dispensato dal convertirsi dal suo individualismo, di chi si abbarbica penosamente e pateticamente al suo campanile (per salvarlo, si dice, senza accorgersi di isolarlo), di chi presume di non aver nulla da imparare dagli altri, di chi non ha mai letto il Vangelo della condivisione.Quando il limite non viene accettato con pacatezza, ma avvertito come minaccia, quando non viene metabolizzato ed integrato queste sono alcune delle logiche e poco entusiasmanti conclusioni. Lo stesso limite può essere valorizzato e gestito da credenti. Perché non interpretarlo come una provvidenziale Scuola Formativa, come un vuoto dove si nascondono le pro-vocazioni, gli appelli vocazionali di Dio? La povertà del futuro ci può educare all’umiltà, all’abbandonarci alla misericordia divina più che mai al lavoro quando si tratta di poveri, all’uscita dal nostro orticello, alla condivisione delle nostre risorse, all’apprezzamento della ricchezza altrui, alla responsabilità laicale (la Chiesa non è una bottega che si frequenta quando se ne decide la necessità, e che va aperta e tenuta in ordine senza prodotti scaduti e da preti aggiornati), al lavoro di squadra, al pensare insieme da cristiani e non da sciocchi rivali, all’andare incontro all’altro non perché mi è simpatico, ma perché me lo chiede il Vangelo. ‘Quando sono debole, è allora che sono forte’: così si confidava nella preghiera Paolo di Tarso che si era lasciato formare dalla prova e dalla necessità. Integrare allora per non disperdere, perché ogni frammento e soprattutto quello meno appariscente contiene energia, possiede a sua volta un frammento di grazia, la presenza dell’Eterno. Integrare perché, come Dio che non è venuto per condannare e brontolare, nulla vada perduto, tutto vada vissuto e goduto. Integrare per costruire, piantare, irrigare, vitalizzare, anche dove altri non vedono nulla di buono… e infine raccogliere, anzi questo è già raccogliere il frutto formato, il frutto  della integrazione-formazione permanente! 24.07.2005

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