Sbendiamo il desiderio

Audio Omelia 06.04.2014

Domenica 6 aprile 2014

Letture: Ez 37, 12-14; Sal 129; Rm 8,8-11; Gv 11,1-45

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. [ Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». ] I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».
Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
[ Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. ] Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». ]
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, [ si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. ]

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Il falso di ‘Lei’

La visione di ‘Lei’, un film recentemente uscito che ha per oggetto la fantascienza tecnologica, mi stimola alcune osservazioni. Premetto che ‘Lei’ non ha nulla a che fare con polpettoni fantascientifici buoni per ragazzini sognanti alieni e mostri mutanti. La fantasia si proietta al massimo nei prossimi venti anni e ciò che si vede è altamente verosimile. Theodore, il nome del protagonista, un adulto non più giovanissimo con un matrimonio fallito alle spalle, scrittore di lettere per conto terzi, che detta al computer, solo e solitario, si innamora di Samantha. Della tipa non si vede un fotogramma, essendo una OS, ovvero un sistema operativo. Le scene narrate, la bravura del protagonista, la voce di Samantha morbida, vibrante ed espressiva rendono la relazione tra i due ‘consistente’, reale, più che virtuale. Qui sta la suggestione della pellicola. La storia diventa, da fantastica, una vicenda credibile, possibile, plausibile. Nulla di preconcetto in me contro il mondo tecnologico e virtuale. Fa problema invece la sovrapposizione dei piani, una commistione, dove è il virtuale a non rispettare più i confini del reale, creando un ambiente finto. Lei (Samantha) vede con la telecamerina dello smart di Theodore, lui sente la sua voce fresca all’auricolare. Si genera allora una intromissione tecnologica nella vita ordinaria, amicale e addirittura sessuale di Theodore. Efficace la scena di lui divertito, che dribbla le persone lungo corridoi, muovendosi ad occhi chiusi, guidato dalla voce di lei, o di lei, che si spaventa divertita da lui, che finge di impattare contro le persone per le vie affollate. Una invasione di campo, che notiamo anche nella decisione di effettuare una gita di fine settimana con degli amici, consentendo a Samantha di interagire con tutto il gruppo. Commistione curiosa di reale e virtuale, dove l’amica invisibile assume il ruolo di attore principale. Simile lo scambio verbale tra Theodore, la figlia e Samantha, dove quest’ultima assume il ruolo di compagna ufficiale di Theodore e si ingrazia la simpatia della piccola. Emblematica la scena del rapporto carnale (?) tra lui e ‘Lei’. Samantha, un sistema al silicio, appare capace di evolvere, di provare gioia e sconforto, di innamorarsi e di far innamorare, tanto che lui la definisce ‘persona’. E’ il massimo della falsità: il virtuale non si limita ad essere ingombrante, ma assorbe il reale pretendendo di essere lui stesso il reale per eccellenza. Un reale (assurdo ed ingannevole) più interessante, avvincente e bello, rispetto al banale e sbiadito reale della vita ordinaria. Amara e salutare scoperta poi, per lui, nell’apprendere, che Samantha stava intrattenendo relazioni simili alla sua con migliaia di utenti e centinaia di amanti. Il regista a questo punto metterà in bocca ai personaggi frasi chiave e ritornanti del tipo: ‘Bisogna chiamare le cose con il loro nome’. La verità, il rispetto delle identità, la cura per le differenze ci consentiranno di affrontare con spirito libero ed intelligente i potenti mondi del reale e del virtuale che si incroceranno e si inabiteranno sempre più? Che ne direbbe il nostro Theodore?

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Educarsi ad avere altri occhi

Audio Omelia 30.03.2014

Domenica 30 marzo 2014

Letture: 1 Sam 16, 1b.4a. 6-7. 10-13a; Sal 22; Ef 5, 8-14; Gv 9, 1-41

Dal vangelo secondo Giovanni
[ In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita ] e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».
Detto questo, [ sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». ] Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». ] Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». [ Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. ] Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

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Essere anfora

Audio Omelia 23.03.2014

Domenica 23 marzo 2014

Letture: Es 17,3-7; Sal 94; Rm 5,1-2,5-8; Gv 4,5-42

Dal vangelo secondo Giovanni
[ In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.
Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». ] Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».
Gli replica la donna: «Signore, [ vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». ]
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
[ Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo». ]

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Sorella speranza

Audio Omelia 16.03.2014

Domenica 16 marzo 2014

Letture: Gn 12,1-4a; Sal 32; 2 Tm 1,8b-10; Mt 17,1-9

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

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24 ore per il Signore in versione diocesana

Venerdì 28 e Sabato 29 Marzo in Concattedrale a Pordenone e presso la cattedrale di Concordia celebrazioni penitenziali, confessioni, adorazione, eucaristia, preghiera dei salmi, ovvero ’24 ore per il Signore’. Il vescovo Giuseppe associa la Chiesa diocesana all’iniziativa del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, che ha trovato il Papa entusiasta. Francesco stesso a Roma sarà confessore e penitente, uomo di Dio e quindi della sua misericordia.
Mons. Giuseppe ha preso la palla al balzo con determinazione. E’ felice di offrire alla Chiesa diocesana una occasione forte di conversione e di riconciliazione nel bel mezzo dell’itinerario quaresimale. Parrocchie, unità pastorali, foranie poi sono libere di avviare degli appuntamenti analoghi lasciando le chiese aperte per il silenzio e la confessione sacramentale.
Papa Francesco stesso si è incaricato di precisare di non essere mosso dal gusto per le anticaglie liturgiche da rispolverare. L’obiettivo infatti non è ripristinare per breve tempo un rito togliendolo dal museo dei ricordi religiosi. La riconciliazione è esperienza di misericordia e quindi di speranza e di gioia. Per lui la categoria della misericordia interpreta meglio di ogni altra il mistero di Dio, le sue intenzioni amorose. E nello stesso tempo rivela il bisogno profondo dell’uomo, essendo creatura fatta per essere amata e riamata (perdonata).
L’evento suona come una lezione educativa, o come una provocazione pastorale. Siamo interpellati a chiederci che ne abbiamo fatto della confessione. Non raramente i confessionali vengono scelti come luogo ideale per allestimenti di ragnatele o per depositi di materiale e polvere. Si confessa in velocità a ridosso della messa, oppure all’interno della messa. I pastori più intraprendenti non si lasciano sfuggire i grandi passaggi liturgici per organizzare confessioni comunitarie per fanciulli (in massa) e per adulti (sparuti). La confessione viene percepita come immersione e abbraccio nella tenerezza del Signore, o come elencazione di sensi di colpa che ha l’unico scopo di alleggerire un tantino l’anima? Ritorniamo con fiducia e consolazione alla paternità del Padre, come il figlio che se n’era allontanato, o rimaniamo freddi e chiusi nella presunzione, come il fratello maggiore che non ne vuole sapere di unirsi alla festa del perdono?
Egli, che è il punto focale sul quale si concentra l’amore del Padre nella celebre parabola di Lc 15, potrebbe essere la chiave interpretativa della crisi attuale del sacramento: autoreferenzialità, individualismo spirituale, ingratitudine, perfezionismo…
Interessante che ’24 ore per il Signore’ sia stato immaginato e lanciato dal dicastero che si occupa di nuova evangelizzazione. La riconciliazione sacramentale diventa così la casa della festa, del Vangelo del perdono. Essa diviene incontro con un Dio che si occupa degli ultimi, dei poveri, di quanti abbisognano di conversione e hanno smarrito la speranza. Esperienza dove veniamo evangelizzati e che ci abilita ad evangelizzare un Signore che è più grande delle nostre colpe, che ‘dimentica’ addirittura i nostri peccati. Guarda un po’, da sacramento forse triste e prevedibile a spazio per recuperare dignità di figli, la bellezza della vocazione, ovvero d’essere creature amate e destinate ad amare. Non è tutto questo un vangelo straordinario di futuro e speranza?

Don Fabrizio

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Digiunare da che?

Audio Omelia 05.03.2014

Mercoledì 5 marzo 2014

Letture: Gl 2,12-18; Sal 50; 2 Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.
Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».

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Fidarsi

Audio Omelia 02.03.2014

Domenica 2 marzo 2014

Letture: Is 49,14-15; Sal 61; 1 Cor 4,1-5; Mt 6,24-34

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.
Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?
E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?
Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.
Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».

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Unità Pastorali. La sequenza dei pastori a Pordenone

Situazione di fatto. La sequenza dei nostri pastori.

Dai tempi del povero mons. Sennen Corrà a proposito di Unità Pastorali (UP) e dintorni di acqua ne è passata sotto i ponti. Ricordo che la prima impostazione sulle UP riscuoteva un eloquente silenzio. Talvolta si sentiva un brusio diffuso in sala. Piovevano scuotimenti di testa e risolini di compassione. Sennen ebbe il merito tuttavia di parlarne, e in questo fu profeta (non proprio ascoltato). L’arrivo di mons. Ovidio Poletto ha visto un potenziamento della progettazione pastorale diocesana. Prima si procedeva con il buon senso, facendo leva sulle tradizioni pastorali delle singole comunità e mettendoci, dov’erano presenti delle risorse di creatività, un briciolo di innovazione. Mons. Ovidio ha incoraggiato un maggior coordinamento in Forania. Con lui si sono realizzate le prime forme di collaborazione in UP. Segnale nuovo fu il fatto che nessuno più tra i presbiteri considerava la scelta delle UP come una opzione bizzarra, un pallino dei vescovi del nord Italia, una manovra amministrativa priva di senso. Si conveniva che esse erano una modalità per superare un atavico individualismo e una risposta necessaria alla contrazione rapida del numero dei preti in servizio pastorale. Erano insomma una opportunità per plasmare un volto di Chiesa coerente con il sogno conciliare. Mons. Giuseppe Pellegrini ha dato e sta dando una accelerazione alla pastorale integrata, la sta portando ad essere obiettivo strutturale dei prossimi anni, coinvolgendo in modo ampio e articolato la base sul territorio, preti e laici, organismi diocesani e comunità parrocchiali. L’Instrumentum Laboris, riflessione voluta per un riassetto complessivo della Diocesi, si sta trasformando, snellito ed integrato, in documento vero e proprio. Tale documento uscirà a settimane nella sua versione definitiva. Instrumentum Laboris e documento finale vogliono essere strumento per disegnare una pastorale di rete, dove, senza procedere ad accorpamenti forzati, si creano delle sinergie tra le comunità. Ciò idealmente dovrebbe consentire alle singole parrocchie di essere custodite, di valorizzare la corresponsabilità laicale, di essere rese maggiormente vivaci e capaci di sviluppare una azione pastorale missionaria. I luoghi di tale sinergia ed integrazione saranno le Foranie e le UP. Le Foranie incrementeranno la loro attività formativa e saranno rese spazio per relazioni fraterne e di condivisione, ad iniziare dai sacerdoti. Le UP, di cui vogliamo occuparci prioritariamente, assumeranno consistenza e forza pastorale. Infatti diverse iniziative saranno spostate dall’ambito parrocchiale a quello delle UP, ed esse poi diverranno soggetto di una intraprendenza missionaria. Inoltre va notato che sul documento si è creato un sostanziale consenso, sia sulla sua visione di fondo, che sulle modalità tecnico/pastorali che fornisce. L’acquisizione cordiale degli orientamenti e delle indicazioni è un punto di partenza ottimale ed incoraggiante. In Diocesi ci sono delle esperienze in atto veramente interessanti. In ogni caso, l’impressione che se ne ricava, ascoltando il parere dei pastori e dei Vice Presidenti dei Consigli Pastorali, è che la pastorale integrata sia esperienza presente a macchia di leopardo, che lascia ancora scoperta gran parte del territorio, e limitata solo ad alcuni capitoli della pastorale. Rimane il fatto che la fase di ricezione e di reimpostazione della pastorale, per passare da un assenso della riflessione e della sensibilità, ad una pastorale realmente di tipo integrato e comunionale, domanda un tempo ‘disteso’ e una serie di conversioni di mentalità, di spiritualità, di progettualità, che vanno favorite e non lasciate alla germinazione spontanea.   

(Gennaio 2014)

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