La pietra di Sisifo e l’effetto elastico

I giudizio di don Ugo Lorenzi, docente di catechetica alla facoltà teologica dell’Italia settentrionale, sulla catechesi in Italia e specificatamente al Nord, pur essendo un tantino impietoso, lo trovo sostanzialmente condivisibile. Ecco la sua analisi, sintetizzata e parafrasata.
Negli ultimi decenni si è fatto uno sforzo di riassestamento, di riforma, per restituire alla comunità cristiana il suo ruolo centrale come madre e maestra, e si sono spostate energie formative dal settore bambini/ragazzi/ giovani a quello degli adulti. È una ricentratura, e quindi da un ‘puericentrismo’ ad una pastorale/catechesi per la famiglia e con la famiglia. Oltre ad un ampliamento di target si è cercato di innovare nei metodi, nelle proposte, nei ritmi immettendo fantasia e nuove soluzioni. In ogni caso, la conversione catechistica per il nostro autore risulta alla fine parziale e poco soddisfacente. Ha dato l’impressione agli operatori coinvolti di essere come Sisifo alle prese con la sua pietra. Quando essa stava per raggiungere la sommità del monte rotolava inesorabilmente a valle per la forza di gravità.
Esiste, secondo don Ugo Lorenzi, una forza di gravità che fa ritornare il tutto al punto di partenza, alle abitudini consolidate del passato, ad una catechesi placida. Sostenere il cambio di passo non è cosa scontata. Formarsi in termini permanenti, non sedersi, sperimentare domanda un sacco di energie e una buona dose di robuste motivazioni. Il paragone lo trovo accattivante ed esportabile per descrivere lo stato della pastorale nostrana e italiana. La nostra Chiesa diocesana si è data da Febbraio un interessante strumento che descrive lo scenario dei prossimi anni: ‘Comunione e annuncio nella corresponsabilità. Orientamenti di riordino delle foranie e Unità Pastorali per la nuova evangelizzazione’.  Esso traccia le coordinate per la progettazione pastorale, vale a dire: corresponsabilità, pastorale integrata e missione. Si concentra poi sul profilo delle Foranie e delle Unità Pastorali, che saranno i luoghi fondamentali per creare rete e permettere alle nostre comunità di essere non solo capaci di custodirsi, ma anche in grado di porsi in stato di ‘uscita’, con un atteggiamento missionario.
L’esortazione postsinodale di papa Francesco ‘Evangelii Gaudium’, dà propulsione ulteriore a tutto l’impianto. Ora, sono già in atto dei processi di conversione pastorale. Vedasi a mò di esempio la sperimentazione di ‘Alfabeto della fede’, percorsi di secondo annuncio per genitori, coordinamento delle caritas, proposte formative pensate tra parrocchie e tra unità pastorali, e così via. A questo punto, va detto che non siamo esenti dalla tentazione a rallentare, a pensare con nostalgia ai bei tempi passati, a gettare la spugna. Il coraggio e la fiducia a cui siamo invitati, possono essere i fattori determinanti. Siamo chiamati a trasformare la pietra di Sisifo, ovvero tutta la novità pastorale, sulla quale poniamo mano e spingiamo, come il vero punto gravitazionale. Se ci crediamo convintamente, se la troviamo buona, bella e vera, potrà essere forza centripeta, aggregativa. Sarà la ‘pietra’ stessa a trascinarci, rotolerà con agevolezza verso… l’alto.
Ci si consenta un’ultima battuta e immagine per completare il ragionamento. Ci teniamo a dire che se la pietra rotolerà verso l’alto, rotolerà in modo progressivo e continuativo. Come fanno infastidire coloro che appartengono alla confraternita del: ‘abbiamo fatto sempre così’; allo stesso modo sorprendono e fanno innervosire quelli che recitano: ‘noi siamo già arrivati, ci siamo già’, rivelando una presunzione olimpionica. Un sintomo di salute nella progettazione e nei cammini pastorali è l’effetto elastico. Quando ci si avvicina agli obiettivi che ci si è dati e si assaporano i frutti del lavoro, essi scappano in avanti e ci mettono nuovamente in una tensione ottimale. Impossibile annoiarsi e dormire. Auguriamo allora una quaresima creativa e gioiosa.
Le facce e le pastorali ripetitive e da quaresima le lasciamo ad altri.
Don Fabrizio

(tratto da ‘Collegamento Pastorale’ supplemento de ‘il Popolo’ del 01.03.2014 – Diocesi Concordia-Pordenone)

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Il Figlio

Domenica 12 gennaio 2014

Letture:  Is 42,1-4.6-7; Sal 28; At 10,34-38; Mt 3,13-17

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

Racconto del battesimo di Gesù secondo la versione di Matteo. Evidenzio tre passaggi. ‘Lascia stare per ora conviene che adempiamo ogni giustizia’. Così risolve Gesù l’obiezione di Giovanni. Come si spiega che l’Innocente chieda un battesimo di penitenza? Perché il maggiore (Gesù) si piega al minore (Giovanni)? Il Battista era imbarazzato. La sua resistenza rivela al contempo la perplessità della comunità cristiana primitiva di fronte alla scelta di Gesù. E’ la giustizia divina che lo chiede. Per giustizia si intende la volontà buona di Dio. Detto diversamente, il Signore vuole sedersi alla tavola dei peccatori. Il Figlio solidarizza con loro, non per mangiare il pane del peccato, ma per offrire il cibo della misericordia. E così Gesù entra nell’acqua. Ora, eccoci al secondo movimento. Gesù esce dall’acqua. ‘Egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba’. Alcuni esegeti ricordano che Isaia immaginava il ritorno degli esuli come un volo di colombe. La tradizione ebraica vede librarsi lo Spirito sopra le frotte degli esiliati che ritornano. I simboli dell’acqua e della colomba evocano l’esodo. In effetti il battesimo è esodo, esperienza di uscita da un regime di lontananza da Dio per un regime di amicizia con lui. Lo Spirito ci consente di uscire da un passato di incoerenza e di peccato per un presente e un futuro di libertà e di gioia. Interessante recuperare il battesimo come ‘esodo’. Il sacramento allora non si riduce ad una tradizione, ad un rito con conseguenze anagrafiche. Esso è tappa di conversione in un cammino di speranza. Una voce diceva: “Questi è… l’amato”. Giudico intelligente, e non semplicemente folkloristica, la battuta di Papa Francesco nella sua recente catechesi sul battesimo. Invitava a ricordare (riportare al cuore, come dice la parola) la data del battesimo o a ripescarla fissandola nella mente. E’ il segno evidente di quanto siamo preziosi agli occhi di Dio, dall’eternità e per l’eternità.

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Memoria e Creatività

Provocatoria l’esperienza fatta recentemente in una grossa città europea. 750.000 abitanti, per la maggioranza cattolici. Mi riferisco alle messe, in oltre una decina di chiese differenti. Liturgie stanche e svelte, senz’anima. Che pena!
L’impressione di trovarmi di fronte ad un atto devozionale fatto su commissione. Uno spazio di… antievangelizzazione. Mi sono chiesto che cosa stavano raccontando queste messe, quale memoria stavano celebrando?
La sensazione era che esse fossero state quasi ‘staccate’ dalla storia di salvezza che dovevano narrare. Se non si attiva la memoria grata della Pasqua, di questo Dio che ci ama da sempre e per sempre, quale gioia è possibile provare? Quale bisogno si sente di professare apertamente la fede e di condividerla?
La provocazione spirituale mi ha portato a fare un tipo di ragionamento sulla creatività, o meglio sul rapporto che intercorre tra memoria e creatività ecclesiale e pastorale. Sono del parere che la vera fantasia pastorale è figlia di una buona memoria. Solo il credente che recupera la memoria della sua esperienza di fede, e lo fa con riconoscenza, proverà gioia. Avvertirà una contentezza profonda. Un sentimento che fa respirare la sua anima e la tonifica. È la percezione di essere stato amato e salvato. Sarà tale festa interiore che lo spingerà a dichiarare, a professare la sua fede. E non solo liturgicamente, ma con la vita. Ed è a questo punto che fa capolino la creatività. Il credente tonico ed intraprendente, dinamico e gioioso troverà modi e forme inedite per raccontare la bellezza della fede. Non gli mancheranno idee, spunti, fantasia, intuizioni, freschezza per divenire un protagonista dell’evangelizzazione. Lo farà lasciando parlare il cuore insieme alla mente. Non ripeterà gesti, riti e parole stanche. Diventerà contagioso, attraente. Non conoscerà noia. La memoria grata di questo credente attivo nella missio, oltre a renderlo creativo e mai ripetitivo, lo spingerà a far tesoro delle esperienze altrui. Non disprezzerà nulla, ascolterà con interesse, imparerà e si collegherà spontaneamente a tutti coloro che stanno lavorando nel cantiere del vangelo con creatività. Essa è migliore quando è il frutto paziente e maturo di un gioco di condivisione e di ideazione collegiale. Se non fosse così la creatività sarebbe una operazione improvvisata, impulsiva, un adolescenziale rincorrere i palloncini colorati dell’ultima trovata pastorale, magari cimentandosi in imprese improbabili ed ingenue. Oppure si spegnerebbe inesorabilmente lasciando il posto ad un eterno copia e incolla, alla praticaccia rudimentale, al formalismo.
Il sussidio per l’Avvento che abbiamo predisposto come Sezione Pastorale intende andare nella direzione di una sana creatività, mobilitando le teste e le fantasie di molti.
Evidentemente è uno strumento piccolo e povero che tuttavia, se preso sul serio, può mettere in moto a sua volta l’impegno a custodire la nostra memoria credente e a divenire fantasiosi coattori dello Spirito.
Buon Avvento!
Don Fabrizio
(tratto da ‘Collegamento Pastorale’ supplemento de ‘il Popolo’ del 01.12.2013 – Diocesi Concordia-Pordenone)

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Anno della Fede. Tentativo sommario di bilancio

La richiesta di una rapida ricognizione sull’Anno della Fede che sta per concludersi, ricognizione di tipo essenziale e concreto, fa venire in mente la celebre richiesta di Davide raccontata in 2 Samuele di fare un censimento. Richiesta che venne sulle prime scoraggiata dagli uomini, vedi Ioab suo generale, e punita da Dio. Una indagine Istat d’altri tempi che manifestava presunzione e smania autocelebrativa. Tuttavia sono del parere che insieme all’umiltà sia necessario salvare anche l’attitudine della riconoscenza. Non vorremmo mica passare per degli ingrati e per dei perennemente brontoloni? Ecco qui di seguito una serie di ‘dati’ oggettivi a testimonianza di un lavoro pastorale corale sulla fede, e che fanno intuire benefici input formativi sul bene della fede, che rimane bene difficilmente misurabile.

Anno della Fede 11 Ottobre 2012 e 24 Novembre 2013. Si è deciso come Diocesi di spendere almeno tre anni pastorali sul tema fede: da vivere, da celebrare e condividere, da testimoniare. Scelta che rivela un orientamento per custodire e nutrire la relazione con Dio. Libera da deformazioni, da freddezze spirituali, da interpretazioni consumistiche e devozionali. Vera e performativa della vita. Si è notata una discreta combinazione di strumenti ed eventi  ‘centrali’ (Progetto Pastorale, sussidiazione diocesana, Apertura Anno della Fede 11 Ottobre 2012 presso il Palazzetto dello Sport di Pordenone, offerta di una immagine simbolica di riferimento, itinerari di preghiera mensili, percorsi sui documenti del Concilio…) e vita ordinaria di Parrocchie, Unità Pastorali e Foranie (predicazione omiletica, gestione della liturgia, itinerari catechistici e formativi, lectio divina, accompagnamento dei genitori, oratorio e vita associativa…). La pastorale che si fa sul territorio evidentemente è quella sostanziale e centrale. Tuttavia, maggiore è la condivisione di un percorso a tutti i livelli, maggiore sarà anche il clima complessivo che si genera a tutto vantaggio della fede. Tra i segnali oggettivi del cantiere pastorale ne evidenziamo altri quattro.

1. La nascita del Centro Pastorale Adolescenti e Giovani che ha già compiuto dei passi interessanti. Si dimostra dinamico ed incoraggiante. Esso è stato voluto come strumento di educazione alla fede e come spazio di accoglienza e di coordinamento di ciò che esiste sul fronte giovani.

2. Un investimento energico sulla Pastorale Famigliare. Si è risvegliata una promettente e diffusa sensibilità sulla famiglia, che guarda ad essa come soggetto primario con il quale interagire e che si piega con rispetto e amore sulle storie ‘spezzate’.

3. Il varo della manovra per il riassetto complessivo della Diocesi con il conosciuto Instrumentum Laboris. Fa ben sperare la coscienza consolidata che è arrivato il tempo per un superamento di una pastorale ancorata al campanile, per una vita ecclesiale che, senza smantellare nulla, arrivi a mettere in rete e raccordare.

4. Il rifinanziamento del Fondo Diocesano di Solidarietà, chiedendo innanzitutto ai sacerdoti di donare una loro mensilità, per rispondere alle urgenze della famiglie in maggiore sofferenza per la crisi economica. L’operazione ‘Fondo di Solidarietà’ è stata anche ripresa dalla stampa locale e nazionale. Ribadiamo che, se non fosse stato sufficiente la battuta in apertura, l’intento di queste poche righe non è di dire a noi stessi paroline graziose, adulatorie, ma di evidenziare una grazia che viene dall’alto, che è bene ‘vedere’ e gustare.

Don Fabrizio De Toni  *vicario per la Pastorale
(Articolo pubblicato sul settimanale diocesano Il Popolo del 24.11.2013)

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Formazione e riformazione

È evidente, e nemmeno ad un osservatore distratto sfuggirebbe, il bisogno oggettivo di una energica riforma pastorale delle ‘articolazioni’ della nostra chiesa locale: Parrocchie, Unità Pastorali, Foranie. Motivi interni (contrazione numerica dei preti, calo vocazionale rispetto ad un glorioso passato, disaffezione alla pratica liturgica…), motivi esterni (secolarizzazione diffusa e profonda, cultura antivocazionale o dei progetti di vita a part time…) si combinano con una volontà determinata di sagomare comunità cristiane dove la dimensione della comunione, della corresponsabilità laicale e della missionarietà siano effettivamente esercitate. Tale combinazione incoraggia e accelera un processo di riforma, di riassetto complessivo per un servizio pastorale in rete, maggiormente condiviso ed estroverso.
Ora, è altrettanto evidente il bisogno di attivare dei percorsi formativi per consentire agli attori pastorali, laici in primis, di inserirsi in termini qualificati in questo importante cantiere di cambiamento pastorale. Sono veramente pochi, e sinceramente ‘fanno venire il latte alle ginocchia’, coloro che non s’avvedono da un punto di vista teorico di quanto sia fondamentale e decisiva la formazione pastorale, culturale, spirituale. E formazione che sia permanente. Bloccarsi sul già detto e conosciuto, non entrare in un circuito virtuoso di apprendimenti e di crescita significa condannarsi alla ripetizione stanca, ad una clonazione poco attraente, all’appiattimento. Detto diversamente la non formazione determina una deformazione, anch’essa permanente con evidente impoverimento dell’interessato e dell’azione ecclesiale.
Alcune resistenze vanno ascoltate e prese in seria considerazione: affollamento di impegni e di uscite fuori casa, noiosità dei relatori, metodi troppo scolastici e poco interattivi, mancanza e di concretezza e vaghezza operativa. Tuttavia la comprensione della decisività della partita formativa, unitamente alla attrazione che normalmente esercita il lavorare per ciò che è buono, bello, vero e gradito a Dio, danno entusiasmo, curiosità, intraprendenza a quanti entrano nelle proposte formative.
Aggiungiamo che una formazione pastorale bilanciata dovrebbe andare a mettere in sinergia mente, cuore e volontà. Mente: fornendo conoscenze, strumenti teologici, culturali, tecnici che consentano di procedere consapevoli, dando testa appunto e gambe a quanti amano la Chiesa e si sentono chiamati a prendervi parte con generosità. Cuore e volontà: occupandoci di alimentare la relazione di fede, fornendo motivazioni per agire, liberando il desiderio e la gioia di interagire con i progetti di Dio. Un operatore pastorale scarico dentro non andrebbe molto lontano, si ridurrebbe a muoversi come un automa, e finirebbe per recitare la parte del moralista e del volontarista senza convincere nessuno. Così ci permettiamo di incoraggiare a valutare con estrema attenzione tutta l’offerta formativa, che risulta massiccia e variegata, della nostra diocesi. E qui lasciateci evidenziare lo strategico Biennio per Coordinatori Pastorali di Pordenone, presso la Casa Madonna Pellegrina e l’Istituto di Scienze Religiose di Portogruaro, dove sono possibili percorsi differenti a seconda delle disponibilità chi vi partecipa. Sono questi passaggi e passi saggi ed essenziali per proseguire dentro alle città degli uomini il cammino verso la città santa, quella di Apocalisse per la quale ci concentreremo con intensità quest’anno.

Don Fabrizio
(tratto da ‘Collegamento Pastorale’ supplemento de ‘il Popolo’ del 15.09.2013 – Diocesi Concordia-Pordenone)

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‘La porta aperta…’

Apertura Anno Pastorale Diocesano 2013-14

Siamo arrivati a pochissime battute dalla Apertura dell’Anno Pastorale Diocesano di Domenica 15 Settembre. Sua location sarà il Centro Pastorale Giovanni Paolo II della Parrocchia di San Giorgio di Porcia. ‘La porta aperta…’, titolo dell’evento, si ispira all’icona dell’Anno Pastorale che racconta la liturgia celeste. L’autore di Apocalisse ci conduce quasi processionalmente di fronte ad una porta aperta sul cielo. Quanti vi entrano contempleranno un trono con assiso l’agnello sgozzato, il libro, le sette lampade, gli anziani. La dinamica liturgica che si celebra all’interno della sala del trono ci consegna il mistero di Dio, la direzione impressa da Lui alla storia, la nostra vocazione e responsabilità. Veniamo educati insomma al primato di Dio e alle Sue intenzioni buone. Così, abbiamo pensato di aprire una porta, evidentemente minore e tuttavia utile ed interessante, invitando gli operatori pastorali nel pomeriggio di Domenica nello spazio del Centro Pastorale di Porcia per condividere proposte, progetti, idee, orientamenti, materiali, strumenti pastorali. I disegni di Dio vanno tradotti e realizzati attraverso le nostre mediazioni che domandano formazione ed innovazione permanenti. Tutti gli Uffici di Pastorale Diocesani saranno presenti e attivi, e la quasi totalità delle realtà diocesane più significative con i loro contributi. Non ci interessa creare una passerella per mostrare la forza muscolare delle nostre performances pastorali. Sarebbe una esperienza di schiocca vanità. Ci anima piuttosto la gioia di condividere le risorse che circolano nell’ambito ecclesiale. È già una intelligente forma di comunione e di pastorale integrata. Legittimo e auspicabile cercare strategie e strumenti altrove. Saggia la libertà di imparare da ‘fuori’. Curioso in ogni caso notare in alcuni operatori pastorali spensierata disattenzione per tutto ciò che si produce a casa propria. Ci muoveremo quindi con fiducia e gusto di esplorazione tra gli stands effettuando un percorso fisico e simbolico che è stato creato ad hoc, ci immergeremo nell’ascolto di alcune relazioni, ci lasceremo coinvolgere dai laboratori in un contesto di accoglienza e di festa. Non mancheranno dei laboratori per bambini e ragazzi. Alla sera, nel vicino pattinodromo (in chiesa parrocchiale se pioverà), apriremo una seconda porta e questa volta di tipo liturgico. Sarà come anticipare la liturgia del cielo dove tutto e tutti si dispongono attorno al risorto nel canto della libertà e della riconoscenza. Dopo un incipit artistico, ascolteremo la Parola, la parola del nostro pastore e sarà consegnata l’icona che accompagnerà il nuovo Anno Pastorale. Alla liturgia serale tutte le comunità parrocchiali sono invitate. Ringraziamo il vescovo per aver incoraggiato l’evento, lo staff organizzativo, gli splendidi volontari ad iniziare dai volontari di Porcia con il all’iniziativa.

Don Fabrizio De Toni  *vicario per la Pastorale
(Articolo pubblicato sul settimanale diocesano Il Popolo del 15.09.2013)

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Iride

Il simbolo visivo dell’iride richiama l’occhio, il guardare, l’osservare, la vista insomma. Lo intendiamo come senso esterno ma anche e soprattutto come senso interno, ovvero come capacità di discernere, di vagliare, di cogliere la verità. È il simbolo che abbiamo deciso come rappresentativo del Bollettino.
Sarà un occhio, o meglio saranno ambedue gli occhi aperti sulla comunità e aperti e interessati nel contempo sulla realtà che sta all’intorno. E per continuare, il nostro strumento di comunicazione è una finestra aperta che consentirà a quanti circolano sulla soglia, di sbirciare dentro, di incuriosirsi, di condividere progetti e sogni che ci abitano. Suggestivo a tal proposito lo splendido testo di Luca che narra l’unzione di Gesù da parte di una peccatrice (intendi fragile, forse non proprio prostituta nel caso specifico). La scena è commovente e sensuale, dall’atmosfera avvolgente e orientale. Tutti i sensi sono implicati e coinvolti. La donna si presenta da dietro e piange. Il verbo si applica per la pioggia e al pianto, unito al lamento e al singhiozzo. È quasi una fontana di lacrime. Si attiva l’udito. Le lacrime calde cadono sui piedi, che vengono asciugati strofinando i capelli e baciati. Si mette in moto il tatto. Vengono cosparsi di profumo, è agganciato l’olfatto e anche il gusto. Il profumo è dolce e pungente. A questo punto Luca mette in campo la vista, descrive l’occhio di Simone. ‘Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice”’ (cfr Lc 7,36-8,3). L’occhio di Simone è malato, dallo sguardo distorto, superficiale, sprezzante, incapace di cogliere la profondità, la verità. Simone non si coinvolge nel mistero, non lo afferra. Non vede che Dio è venuto a cercarsi ciò che era perduto, ciò che viene disprezzato e che sembra irrecuperabile. Non vede la misericordia. I suoi sensi esterni ed interni sono mal funzionanti, come paralizzati e bloccati. Poveretto! La sua iride è offuscata, il suo sguardo impuro e cattivo. Tutto questo per dire che ci piacerebbe guardarci, guardare e lasciarci guardare con occhio limpido, penetrante. Cogliendo il bello, che possiamo ascoltare, annusare, toccare, gustare, e vedere, raccontandolo e condividendolo. È un esercizio che ci può portare lontano, dagli esiti sorprendenti. Ho incontrato da poco un cinquantenne ormai in fase terminale avanzata. Con un sorriso appena accennato, mi confidava con un filo di voce che i suoi famigliari erano disperati e inorriditi della sua magrezza e degli infiniti cateteri. Li compativa quasi! Infatti lui vedeva nei tubicini, nelle flebo e nelle dosi di morfina, nelle lenzuola cambiate, nelle spondine, nelle visite mediche e famigliari, nelle mani che lo toccavano i… colori della vita! “È bellissimo, vedo cose meravigliose. Intorno a me e davanti a me c’è solo luce!”.
Buona lettura!
Don Fabrizio

(Articolo pubblicato nel Nr.1 di ‘Iride’ – bollettino della parrocchia di Villotta-Basedo, giugno 2013)

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Comunità che celebra e condivide

L’ “oggetto” del celebrare e del condividere è ovviamente la fede, ‘porta’ di accesso al Mistero. La nostra Chiesa locale si è impegnata per declinare su tre anni il dono della fede: fede vissuta, fede celebrata e condivisa (Anno Pastorale 2013-2014), fede testimoniata. Annunciamo che il 18 Giugno presso la Cattedrale di Concordia, il 19 Giugno presso la Concattedrale di San Marco in Pordenone, il 20 Giugno presso il Duomo di Maniago alle ore 20.30 sarà consegnato il Progetto Pastorale Diocesano 2013-2014 ai sacerdoti, ai Vicepresidenti dei Consigli Pastorali Parrocchiali e agli operatori pastorali. Il volumetto con il PPD conterrà anche l’Instrumentum Laboris per il riassetto diocesano e la Costituzione Conciliare sulla Sacra Liturgia ‘Sacrosanctum Concilium’. La liturgia celeste di Ap. 4-5 è la fonte ispirativa e lo sfondo integratore dell’intero nuovo PPD. In essa sono rintracciabili le due dimensioni del celebrare e del condividere. La liturgia dell’Agnello, che viene descritta, intende dare le chiavi per aprire, per interpretare la storia dell’uomo, come storia governata da Cristo morto e risorto. La liturgia che celebriamo ritmicamente, ad iniziare da quella domenicale, ha la pretesa di consegnarci le chiavi per leggere il destino dell’uomo e il senso della vita. I ventiquattro anziani evocano gli ‘adulti’ nella fede che nel passato e nel presente consentono alla fede di essere trasmessa e ricevuta, ‘condivisa’ appunto. Essi richiamano le mediazioni ordinarie e vere che Dio attiva per raggiungerci. Il PPD e l’Instrumentum Laboris, con il quale va saldato, intendono accompagnare la nostra Chiesa locale a realizzare una ‘pastorale integrata’, della corresponsabilità e dal forte timbro missionario. Ora, perché questa tipologia di pastorale, ‘varata’ con chiarezza dai vescovi italiani con il bel documento del 2004 ‘Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia’, possa divenire mentalità condivisa, modus operandi ordinario, cultura insomma, occorrono a mio avviso almeno tre elementi. Essi debbono concorrere insieme e richiamarsi reciprocamente. Per una pastorale della condivisione e della missione è necessario innanzitutto avere delle idee, degli obiettivi, degli elementi oggettivi. L’elemento dell’ “oggettività” è contenuto e offerto dal PPD e dall’Instrumentum Laboris. In secondo luogo, non può mancare l’elemento della “sensibilità”. E’ indispensabile metterci passione, cuore e convinzione. Partire scarichi e incerti vanificherebbe il progetto complessivo. Si potrebbe riprendere il titolo di un celebre romanzo di Susanna Tamaro ‘Và dove ti porta il cuore’ per reimpostarlo nel nostro contesto dicendo: ‘Và e fa battere il cuore per i sogni della tua Chiesa’. L’ultimo elemento è quello di una seria “pedagogia”, anch’essa presente nei due strumenti pastorali. Essa disegna i passi e le operazioni concrete per avvicinarci agli obiettivi scelti. Direi che quest’anno uno dei punti sui quali si è trovata una importante sintonia è quello delle ‘proposte concrete’. E’ la dimensione pedagogica che garantirà la praticabilità di un progetto. Buon cammino!

(Articolo pubblicato sul settimanale diocesano Il Popolo del 16.06.2013)

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Il Biennio è un bell’affare!

Ricordo come il Biennio per Coordinatori Pastorali fu una delle conclusioni più significative maturate durante i lavori del Convegno Ecclesiale del 2005. Allora nel linguaggio informale si parlava di ‘coperta corta’, ovvero di una riduzione numerica del clero accompagnata dal suo progressivo invecchiamento. Si avvertiva la necessità di dotarsi di uno strumento formativo per provvedere laici che potessero inserirsi come ‘quadri’ medi e medio alti della vita pastorale ordinaria. Oggi, nell’orizzonte imminente del riassetto di Unità Pastorali e di Foranie, e consapevoli maggiormente dell’identità laicale, a cui spetta non solamente l’animazione delle realtà della storia, ma anche di prendere parte attiva e responsabile alla missio della Chiesa, la bontà del Biennio per Coordinatori Pastorali appare ancor più evidente. A mio parere tale itinerario formativo ha un carattere strutturale. Non si limita infatti a degli assaggi veloci di teologia e di progettazione pastorale, ma si presenta con l’ambizione di fornire una serie di competenze e di professionalità che consentano di porsi in un servizio di animazione, di coordinamento e di accompagnamento delle comunità parrocchiali in stretta alleanza con i presbiteri. Da parroco mi è sempre piaciuto sin dall’inizio favorire il Biennio e indirizzare laici che ritenevo potessero maturare una visione complessiva della realtà ecclesiale, avvertendone fin da subito l’amore per la Chiesa e un certo spirito intraprendente. Da una prospettiva diocesana la motivazione positiva che mi ispirava si è rafforzata ulteriormente. Commuove vedere come dei trentenni/quarantenni dopo una giornata di lavoro e di faccende famigliari, arrivando cotti ed esausti alla Madonna Pellegrina di Pordenone, improvvisamente si rianimino con entusiasmo, e rientrino a casa con la sensazione gradevole di essere stati incoraggiati e arricchiti. Il valore della squadra dei loro formatori, ad iniziare dal don Fermo, e il carattere attivo/laboratoriale del percorso evidentemente sono uno degli elementi che garantiscono la qualità dell’offerta formativa. Forse, come sostengono alcuni pastoralisti, il laicato italiano dà l’impressione di essere come un gigante addormentato, il quale se svegliato di soprassalto potrebbe prendersi una botta in testa e combinare grossi guai. Sono convinto che si tratta di uno scotto da pagare se vogliamo interagire con un interlocutore ‘sveglio’ e che impara a stare in piedi. Più che uno scenario preoccupante, o addirittura minaccioso, vi vedo la straordinaria opportunità di essere padri di ‘figli’ che domandano, e ai quali domandiamo, di essere adulti e corresponsabili nel grande cantiere della fede.

(Articolo pubblicato nell’inserto ‘Speciale’ del  settimanale diocesano “Il Popolo” di domenica 2 giugno 2013)

 

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La prima volta



Vorrei spendere una parola per incoraggiare il cammino appena avviato per il riassetto delle Foranie e delle Unità Pastorali, che per noi è contenitore e sostanza nello stesso tempo dell’azione pastorale. Un prete amico mi raccontava le sue perplessità in merito alla visione di Chiesa e alle proposte operative che emergono dall’Instrumentum Laboris, documento che guiderà lo studio e l’implementazione della riorganizzazione diocesana.

Mi chiedo perché non di rado quando parliamo di cor-responsabilità, di con-divisione, di com-unione, di in-tegrazione (tutti termini che evocano dialogo e scambio) facciamo fatica a commuoverci. Il cuore appunto non si muove e non proviamo attrazione ed entusiasmo. La mente tutt’al più riconosce che l’operazione delle Unità Pastorali è necessaria, dovuta, razionale, ma non vi si vede e non si gode per una visione di Chiesa che vi sottende. Tra le ragioni di questa reazione spirituale e pastorale insieme vi scorgo un paio di ‘virus’ che ci irrigidiscono come la corazza di Davide prima di ingaggiare battaglia contro Golia.
Ricordo un giovane prete milanese che conobbi. Allora aveva sui trent’anni. Mi confidò che stava percorrendo un itinerario personale di conversione e di revisione di vita accompagnato da dei sacerdoti esperti. Mi rivelò che con suo sommo stupore stava provando come una gioia che gli dilatava le pareti del cuore, quasi da fargli male, fino a portarlo alle lacrime. Sentiva che dentro di sé poteva ospitare il mondo, mentre prima era tutto preso dalle sue perfezioni personali. Mentre esperimentava la libertà dal suo individualismo, era attratto dalla bellezza della fraternità e della comunione.
Eccola qui la prima ‘bestia’, l’autoreferenzialità, in alcuni talmente sottile da sfuggire agli stessi interessati che ci impedisce di essere autenticamente affascinati dall’Altro e dagli altri, senza infastidirci o spaventarci delle loro differenze, anzi lasciandocene incantare.
Ho letteralmente ‘bevuto’ un recente saggio sull’uomo tecno liquido di Tonino Cantelmi della Lumsa di Roma. L’uomo contemporaneo, tecno liquido così lo chiama, figlio di internet ama contatti leggeri (light), liquidi, non impegnativi, blandi e difficilmente si impegna in relazioni vere. Porta nel suo smartphone migliaia di indirizzi mail e di numeri di cellulare, ma in realtà stabilisce solo delle connessioni virtuali che può spegnere con un click. Entrare in un circuito di confronto, di corresponsabilità, di ascolto paziente, di tessitura comune, di relazioni veraci diviene così per taluni una impresa improbabile per la quale non merita rischiare e scommettere più di tanto. Se sapremo sbarazzarci di tale corazza saremo liberi di procedere. Sarò anche rincitrullito, ma a me pare che l’impresa di metterci in rete domanda oltre che intelligenza e professionalità un sacco di desiderio, insomma è una faccenda di innamoramento per tutto ciò che sa di Comunione, dalla quale siamo fatti e per la quale siamo fatti.

Don Fabrizio
(tratto da ‘Collegamento Pastorale’ supplemento de ‘il Popolo’ – Diocesi Concordia-Pordenone)

 

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