Firenze 2015 – V° Convegno ecclesiale nazionale

collegamento pastorale 06.11

Dal 9 al 13 Novembre 2015 la Chiesa che è in Italia celebrerà il V Convegno Ecclesiale. Lungo una delle vie principali di Pordenone raccolgo una battuta uscita spontanea da una coppia di amici di mezza età. Precisamente dalla signora. Ecco lo scambio. Io: “Il prossimo anno celebreremo a Firenze il Convegno Ecclesiale Nazionale. Peccato! Sarà immediatamente dopo il Sinodo. Passerà quasi inosservato!”. Lei: “Di che si tratta?”. “Si parla di umanesimo, di umanesimo cristiano”. Reazione sorpresa e divertita: “Cheee?”. La tipa nella sua semplicità aveva afferrato, e a ragione, che sicuramente si tratta di un meeting con dei contributi teologici di alto livello, ma dando per scontato sia roba per addetti ai lavori, sbagliandosi. I titolo al completo recita ‘In Gesù Cristo il nuovo umanesimo’. Non ci si limiterà ad una riflessione di taglio filosofico, o alla memoria storica dello straordinario patrimonio culturale dell’umanesimo cristiano. Nemmeno ci sia accontenterà di uno scambio di esperienze significative in atto nella chiesa italiana. Sarà innanzitutto un evento pastorale. Si evince chiaramente l’intenzione di fondo dal testo ‘Invito al Convegno’ a firma di S.E. Mons. Cesare Nosiglia presidente del comitato preparatorio. Suggestivo un passaggio, di ispirazione agostiniana, del documento. Si afferma che l’uomo è fatto da Dio e quindi fatto per vivere di fronte a Dio. Lo si toglie così dalla solitudine o dalla presunzione di essere ‘tremendamente’ importante. E’ un vangelo, una buona notizia, che lungi dall’ingabbiare e annullare la libertà, allarga all’infinito il cuore umano. Lo salva dalla tentazione di avvitarsi, di ripiegarsi ingobbito preso dalla sua autoreferenzialità. Gli consente di esperimentare la gioia di sentirsi amato e di imparare ad amare alla maniera di Dio. Si sentirà chiamato ad essere custode del giardino della storia e a prendersi cura di tutte le creature che lo popolano. L’incontro con Gesù non aliena l’uomo, non lo dis-trae, non lo trae altrove, lontano dalle sue responsabilità e dalla sua felicità. Anzi! Lo umanizzerà in pienezza. In una fase di smarrimento e di crisi strutturale, non solo economica, la chiesa italiana fedele alla sua missio rilancia la centralità dell’ “io” dell’uomo in dialogo con il “Tu” di Dio. E’ il suo contributo decisivo in nome della speranza. Il Convegno, quindi, piuttosto che un inserimento che mal si combina con le urgenze pastorali ed educative, va letto come un tentativo interessante di tradurre in versione italiana il progetto ecclesiale e missionario di Evangelii Gaudium di Papa Francesco. Infatti l’appello è di ‘uscire’, di superare una certa stanchezza e ripetitività, per narrare all’uomo di oggi le ‘viscere’ di misericordia di Dio. Esse fremono di tenerezza per i figli. In Lumen fidei 21, Francesco rimarca che aprendosi all’Amore che lo ha amato e perciò chi-amato l’uomo ‘si dilata… l’io del credente si espande… la sua vita si allarga…’. Informiamo così che la diocesi di Concordia-Pordenone si sta attivando per costituire la squadretta di religiosi e di laici che parteciperanno al Convegno. Nel contempo si formerà a breve un gruppo di lavoro che in sinergia con le diocesi friulane e del triveneto organizzerà alcuni appuntamenti per coinvolgere l’insieme delle comunità parrocchiali e le differenti realtà ecclesiali che compongono il volto della nostra bella chiesa locale.

Don Fabrizio De Toni
Vicario per la pastorale

(tratto da ‘Collegamento Pastorale’ supplemento de ‘il Popolo’ del 07.11.2014 – Diocesi Concordia-Pordenone)

 

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Desiderio di consolazione

Tintoretto, Adorazione dei pastori, Salone, Scuola Grande di San

Scrivo, reduce da due campi scuola diocesani con l’Azione Cattolica. Uno biblico per adulti sulla Seconda Lettera di Paolo ai Corinti. ‘Sia benedetto Dio… Padre di ogni consolazione’ (cfr 2Cor 1,3). L’altro per giovani, educatori e animatori inizianti, i futuri ‘quadri’ associativi, con tutto il loro bisogno di ascolto e di consolazione. Non previsto, tra l’uno e l’altro correva un cordone rosso: la consolazione goduta dall’apostolo e la domanda di incoraggiamento dei giovani. Ci siamo trovati di fronte forse ai primi animatori ‘nativi digitali’. Eppure ci ha impressionato la voglia di contatto fisico, di ascolto prolungato, di narrazione intima di se stessi, di relazione concreta… in una parola, di consolazione. Più volte durante le celebrazioni, pur senza spingere sul tasto emotivo, ci siamo ritrovati a piangere per un sentimento di compassione (cum-patire, patire-con). Senza mettere in conflitto, come si fa spesso nei nostri ambienti pastorali il reale con il virtuale, usualmente inneggiando al primo a scapito del secondo, l’esperienza fatta conferma a mio modo di vedere l’assoluta necessità che le due comunicazioni si cerchino e si integrino.
Inoltre si apre qui una finestra, un passaggio formidabile per proporre il Vangelo, ovvero la buona notizia che Dio si prende cura di noi. Egli in fondo è il Dio della consolazione: ‘Come una madre consola il figlio così io vi consolerò’ (Is 66,13). Egli rompe la solitudine, spauracchio terribile per l’uomo di tutti i tempi. Mi è piaciuto al campo biblico proporre una riflessione teologica su un’opera d’arte che mi è entrata nel cuore: ‘L’adorazione dei pastori (Jacopo Tintoretto – Sala Grande di San Rocco Venezia). Ritrae in una composizione a due piani la scena dello svelamento del bimbo appena nato. Nel piano superiore, dove sta la santa famiglia, irrompono due ancelle. Sono le levatrici. Una si scopre il seno per allattare Gesù. L’altra porta una scodella con un cucchiaio. Nella scodella il colostro, il latte nutriente delle puerpere. Straordinario e scandaloso. Dio viene per consolarci, ma innanzitutto vuole fare l’esperienza della povertà ed essere lui stesso consolato. Nella parte inferiore una scaletta, un rinvio simbolico alla discesa effettuata con l’incarnazione, sulla quale sta una gallina che quasi esce dalla cornice. Un tenerissimo richiamo a Lc 13,34: ‘Gerusalemme quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali’. Avete presente quando la gallina arruffa le ali in presenza di una poiana o di un pericolo imminente per proteggere i piccoli? Dio scende, riduce le distanze, si fa solidale al punto da ‘uscire dal quadro’ quasi non resista dalla voglia di abbracciarci. Una suggestiva immagine di una Chiesa in ‘uscita’; pronta alla consolazione, non quella a buon mercato; desiderosa di annunciare un Dio che avvicina alla sua guancia i figli, ad iniziare da quelli più esposti per i ritmi rapidissimi o per le mille ferite inferte dalla vita. Sembra di capire che siamo chiamati a dar forma ad una Chiesa materna, piena di misericordia, umile al punto tale da dover imparare da una gallina… come Nostro Signore!

Don Fabrizio

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Missione come… ‘spostamento dei piani’

ferraris samaritana

Apertura anno pastorale

Diocesi di Concordia-Pordenone

‘Comunità che annuncia e testimonia’ è il titolo del progetto pastorale 2014-2015 della chiesa di Concordia-Pordenone. Sarà ripreso come slogan per l’evento dell’apertura diocesana del nuovo anno pastorale. Con il sottotitolo ‘Correre incontro…’ che richiama l’azione missionaria della samaritana, evangelizzata ed evangelizzatrice. Così, domenica 28 settembre, la stupenda e accogliente area festeggiamenti della parrocchia di Porcia si trasformerà nel pomeriggio in una ‘kermesse’ festosa ed impegnata: laboratori per gli operatori pastorali su proposte di nuova evangelizzazione, testimonianze, conferenze, e poi uno spazio stands per associazioni, movimenti e gruppi ecclesiali. Cena frugale e quindi, nel vicino pattinodromo comunale, veglia di preghiera, con un breve intervento teatrale, nella quale sarà consegnata simbolicamente ad ogni comunità parrocchiale l’icona che ritrae il famoso incontro narrato da Giovanni al capitolo 4. Nel quadretto biblico, che ispira l’anno pastorale dell’intera diocesi, Gesù da geniale comunicatore adotta la tecnica che il celebre esperto di media McLuhan avrebbe definito dello ‘spostamento dei piani’. Gesù dall’acqua materiale, di cui anche lui effettivamente aveva sete, sposta l’attenzione sulla sete interiore e profonda della donna. Una sete che poteva lasciar posto ad una sorgente vivace. Non solo. C’è uno spostamento spirituale, o meglio dall’io della donna, tutta concentrata sul bisogno di attingere, al Tu di Gesù. E’ Lui l’acqua viva, è Lui il pozzo vero. Siamo in tutt’altra prospettiva rispetto alla partenza. E non basta. Si rintraccia un terzo spostamento, che ne innescherà di altri, di successivi. E’ lo ‘spostamento ecclesiale’, ovvero la missione della chiesa, con il suo permanente essere ‘in uscita’. In effetti la samaritana venuta nell’ora più calda del giorno, in perfetta solitudine, per sfuggire a sguardi indiscreti, ora va ‘decisamente’ in città. E’ trasformata in missionaria gioiosa ed intraprendente. L’apertura diocesana intende essere uno degli step di una serie. Papa Francesco con Evangelii Gaudium ci orienta e ci incoraggia in una direzione ‘estroversa’. Lungi da noi la tentazione di esibire le forze migliori, quasi per vincere una paura nascosta. Desideriamo, come per la samaritana, uno ‘spostamento dei piani’. Ovvero passare da una impostazione pastorale tentata dalla stanchezza e dalla ripetitività, ad una visione gioiosa e dinamica. Meno preoccupata di sé, della conservazione dell’esistente, dei numeri… e più interessata a condividere l’acqua della misericordia, l’unica che rallegra il cuore. Per farlo abbisognamo di coalizzarci, di ‘andare in città’, di smuovere le ‘periferie’, di sdoganare le energie del laicato, di immaginare con creatività, di condividere competenze e risorse. Le brocche piene, le brocche interiori, sono fatte per stare generosamente sulla tavola degli uomini e delle donne di oggi.
Ringraziamo la commissione preparatoria, i direttori degli uffici diocesani, le associazioni, i movimenti, i gruppi ecclesiali e la fantastica comunità purliliese che con i suoi volontari generosi e competenti ci consente di allestire l’impegnativo evento.
A presto!

Don Fabrizio De Toni
Vicario per la pastorale

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Lettera aperta all’Azione Cattolica diocesana

 

ADESIONI AC 2008-2014-2019

Lettera aperta all’AC diocesana di Concordia-Pordenone

Pordenone, 7 Maggio 2014

Considerazioni associative

Le seguenti considerazioni nascono da una valutazione personale, che ambirebbe ascoltarne una associativa e approfondita, dei dati relativi alle adesioni degli ultimi anni, di cui si riporta specchietto ragionato in allegato. Le stendo senza strutturarle troppo, come una lettera indirizzata agli addetti ai lavori, ai quali va tutta la mia ammirazione, riconoscenza e fiducia.

Valutazione di una lenta, non terribile, tuttavia inarrestabile emorragia di adesioni e quindi di consenso. La presa di consapevolezza è ovvia: è sufficiente non negare i numeri. Scontata e oggettiva, ed insieme accompagnata da un sentimento di malinconia. L’AC ha dato tantissimo alla nostra Chiesa locale e alla storia vocazionale di numerosissimi laici, religiosi e pastori di Concordia-Pordenone, come della mia personale. E’ avvilente osservarne un lento declino. Mi chiedo se effettivamente stanno partendo delle reazioni sufficienti e robuste per modificarne la traiettoria imboccata. Assicuro inoltre di non cercare allarmismi inutili. Mi interessa incoraggiare a proseguire una analisi già periodicamente effettuata al ‘centro’ e che forse avrebbe bisogno di essere estesa alla base associativa, quindi non essere un argomento di quasi esclusiva competenza di Presidenza e di Consiglio diocesano. Desidero immaginare per l’AC un futuro luminoso, ‘anfora’ che versa gioiosa e generosa l’acqua del Vangelo e della misericordia, ‘pozzo’ frequentato, pur guardandomi bene dalla tentazione del proselitismo e del trionfalismo. Insomma, un orizzonte di solidità e di vitalità per il bene della Chiesa e di tutti i terreni ‘assetati’.

Nello stendere queste note, tengo presente anche il recente ascolto di alcuni presbiteri e presidenti di associazioni incontrati in due distinti punti della diocesi.

  1. L’associazione sotto il profilo quantitativo rivela una sostanziale tenuta nella proiezione dei dati. Una tenuta non esente da forti preoccupazioni essendo associata ad una perdita costante di adesioni. Una emorragia eccessiva potrebbe compromettere la tenuta dell’impianto dell’Associazione. Le ragioni del ‘dimagrimento’, ho compreso dalle interpretazioni raccolte, sono dovute alla emigrazione di educatori ACR al settore ACG lasciando il settore di partenza sguarnito ed incapace di mantenersi, alla scarsa significatività o alla mancanza vera e propria di Consigli associativi parrocchiali (il tutto viene lasciato in alcuni casi alle decisioni dei baldi giovani dell’ACR), alla crisi economica che genera difficoltà ad affrontare i costi della tessera e dei campi-scuola… Questi ed altri elementi di criticità evidenziati e riconosciuti sono rintracciabili ‘ad intra’.
  2. Esistono altri fattori, che a questo punto potremo definire ‘ad extra’. Sono variabili di cui l’AC non può esserne esente, essendo inserita in un tessuto complessivo più ampio, e sofferte anche dalle AC delle diocesi vicine di grande tradizione storica. In esso vi sono fenomeni di disaffezione ad un volontariato strutturato e di qualità, la fluidità delle relazioni, la povertà del pensiero… e così via. Dirselo non è banale. Più che cercare una consolazione, della serie mal comune mezzo gaudio, diventa una provocazione, una stimolazione ad agire con responsabilità e lungimiranza. Esiste anche un ‘ad extra’ di tipo ecclesiale, ovvero la mancanza di apprezzamento di alcuni sacerdoti, il non ascolto delle ragioni e delle idealità dei laici, una programmazione pastorale che punta sull’immediato e sull’operatività… Sono altrettanti punti da tener presente.
  3. I rimedi già escogitati li trovo assolutamente coerenti ed essenziali: investimento formativo su coloro che hanno responsabilità educative, attenzione all’identità per evitare la dispersione e la confusione, creatività nelle proposte, tesi elaborate e condivise, serietà a tutti i livelli. La mia opinione è che lo sforzo, straordinario ed intenso, si è concentrato sull’associazione in sé. Ecco il punto. E’ come se fossimo fin troppo concentrati su di noi e il nostro stato di salute che… ci ammaliamo, imboccando la strada verso una probabile anemia. E’ possibile che a furia di guardarci giustamente allo specchio per… dar la caccia ai foruncoli finiamo per gonfiarci come quelle facce che a nessuno vien voglia di guardare. La sensazione che ne ricavo è che non rintraccio una sufficiente visione progettuale inserita in un panorama più ampio. Provo a dirlo con dei quesiti. Dove stiamo andando? E come ci vedono gli ‘altri’? Perché non riusciamo ad essere così appetibili per gli operatori pastorali? Esiste una forte motivazione missionaria che ci spinge ad innovare, a pensare alle pecore di fuori uscendo incontro ad esse assieme alle ‘pecore associate’, a convertire forme, metodi, strumenti (tanto per parafrasare Papa Francesco)? Come mai quando si immagina il prossimo futuro all’interno del reticolo delle parrocchie di cui è composta la diocesi, e si pone mano alla progettazione, l’AC non viene tra le prime risorse spendibili, ma ne si fa riferimento solo di striscio? Dove è finita la forza attrattiva della nostra identità? E così via… Il mio non vuole essere un puro esercizio razionale, inconcludente, disfattista e messo lì giusto per infastidire qualcuno. Non intendo nemmeno accusare e seminare sensi di colpa. Mi piacerebbe tanto che si avviasse un ripensamento globale che includesse tutti i segmenti dell’Associazione a partire da quelli periferici, che forse non avendo un quadro d’insieme non avvertono l’urgenza di una riflessione e conversione. E’ la speranza che mi muove, che parte dai numeri senza voler far arruolamenti a tutti i costi. I numeri sono lo start di una immaginazione che va oltre… altrimenti produrrebbero ansia pagana, più che credente. Sono convinto che l’Associazione possa e debba essere una benedizione straordinaria per il futuro della nostra chiesa. Strumento bellissimo e tonico di annuncio del Vangelo.
  4. Indico di seguito alcuni passi possibili. Sono evidentemente esemplificativi e non esaustivi. Quasi una breccia dentro alla quale infilarsi, una traccia, un modo per invocare altre idee, una provocazione appunto. A) Confrontandomi con i confratelli del Collegio Assistenti, trovavamo interessante l’ipotesi di convocare una assemblea generale sull’argomento del calo ‘ponderale’. Essa potrebbe essere fissata nella zona di avvio del cammino associativo o avere delle sessioni che si distribuiscono lungo il percorso annuale, per andare… anche oltre se necessario. Coscientizzare sullo status quo e sulle conseguenze oggettive sarebbe passo necessario e operazione interessante di corresponsabilizzazione. L’AC ha tutti i suoi meccanismi democratici e definiti per impostarsi, tuttavia una tantum ritengo sia bene rompere le fila e agire in termini più veloci e liberi. B) Proporre alla Diocesi e in Diocesi il progetto dei cammini differenziati di catechesi. Significa che all’interno di un progetto di catechesi parrocchiale condiviso l’ACR si pone come un itinerario differenziato, tra gli altri itinerari presenti, per raggiungere gli obiettivi che la comunità si è data. E’ una modalità catechistica già prevista dal magistero CEI. Si tratterebbe di dialogare con l’Ufficio Catechistico diocesano. Delle premesse sono state poste dialogando con don Marino e don Maurizio che sono i nostri direttori. Don Maurizio si è reso disponibile al dialogo e alla elaborazione di una proposta concreta in tal senso. Si toglierebbe l’antipatica e ingiusta etichetta di intrattenitore di bambini all’educatore ACR, lo si qualificherebbe ulteriormente, si troverebbe un aggancio maggiore con le famiglie, visto anche che la catechesi tutta si sta spostando nel coinvolgimento dei genitori. L’operazione dovrebbe riuscire curiosa ed interessante per i preti, costantemente a caccia di operatori per la catechesi. C) Concentrarsi sul target delle giovani coppie e famiglie. Sto pensando a quelle non associate, altrimenti rischiamo di ingrassare e mettere i bigodini alla solita pecorella, forse bisognosa di snellire un tantino. Una alleanza più stretta con la pastorale famigliare diocesana potrebbe essere una strada da percorrere. A tal proposito chiarisco immediatamente che occorrerebbe andar oltre la buona abitudine di appoggiare reciprocamente i progetti messi in cantiere per ideare ‘assieme’, ex novo delle iniziative che vadano nella direzione delle coppie, che si aprono alla bellezza della vita e dell’amore o che rimangono ‘ferite’ lungo la via. Coppie e famiglie da cercare, non così vicine o addirittura assai lontane. Per recuperare un linguaggio ‘magisteriale’ che sta entrando nell’immaginario collettivo, ci possiamo chiedere: ‘Vogliamo agire nel giardino conosciuto e protetto, che cresce all’ombra del campanile, o agire nel campo di battaglia stracolmo di feriti e di voci che invocano attenzione’? D) Evitando di correre dietro ai palloncini colorati per la smania di essere a tutti i costi originali, sono del parere che sia strategico ed evangelico strutturare le proposte tenendo presente i contesti esistenziali dei nostri interlocutori reali e potenziali. I 5 ambiti antropologici individuati dal Convegno di Verona sono una intuizione formidabile che potrebbe aiutarci ad ‘uscire’, ad essere estroversi e creativi, a pensarci ‘partendo’ dalle periferie, dai bisogni e povertà che emergono. Tradizione, lavoro e festa, fragilità, affettività, cittadinanza contengono delle ‘porte’ che Dio sta varcando, o meglio che può varcare se gli diamo una mano. In questo senso papa Francesco sta mutando il clima pastorale, la ‘postura’ della Chiesa. Tuttavia le strade da percorrere sono lasciate evidentemente alla concretezza delle situazioni, alla nostra libertà. Una voce profetica alzata dall’AC, una sua intraprendenza missionaria potrebbe costituire un servizio di amore per tutti, e convincere anche i più riluttanti che è furbo farsi dare una mano all’AC e dare una mano all’AC.

Don Fabrizio

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Una ‘consegna’ per evangelizzare

La consegna del Progetto Pastorale Diocesano, unitamente alla presentazione delle nuove foranie e di alcune scelte che riguardano luoghi e strutture della nostra Chiesa locale, ci consentono di stendere alcune valutazioni pastorali. Titolo del Progetto: ‘Comunità che annuncia e testimonia’. Andiamo così a chiudere un percorso triennale sulla fede, in felice coincidenza con l’esortazione Evangelii Gaudium (EG) di papa Francesco che sembra ‘scappare’ in avanti di una ventina d’anni. Mi concentro qui sui termini ‘Evangelizzazione’ e ‘Nuova Evangelizzazione’. In EG c’è quasi un ‘depotenziamento’ dell’espressione ‘Nuova Evangelizzazione’ (nemmeno 10 volte) a vantaggio dell’espressione ‘Evangelizzazione’ (almeno una novantina di volte). Sembra quasi si voglia svincolarsi dall’impressione che si tratti di rievangelizzare facendo argine contro una secolarizzazione montante. Emerge piuttosto la volontà di mettere la missione al centro, al centro di tutta l’azione della Chiesa. L’evangelizzazione è il ‘paradigma’ per comprendere la natura e la vocazione della Chiesa. Abbracciata nel suo insieme e vista in ogni suo singolo atto pastorale la Chiesa è fatta per annunciare la bellezza del Vangelo. E’ una visione teologica ed ecclesiale da una parte, ma anche nel contempo pastorale e programmatica. Insomma l’evangelizzazione è il cuore pulsante. Esso dovrà ‘stringersi’ attorno al Signore Gesù e alla sua Parola, e ‘dilatarsi’ sul mondo. Si noti come il magistero pontificio insista sulla cura di una relazione di fede autentica, che sta ben in guardia da intimismi caramellosi, e su una Chiesa in uscita, fiduciosa e libera. Tuttavia papa Francesco non rottama la ‘Nuova Evangelizzazione’, anzi al di là della modalità espressiva incoraggia e traccia lui stesso forme di novità. L’Evangelizzazione appare allora nuova perché gioiosa, coraggiosa, intraprendente. Essa non rimane bloccata da stupidi timori e stanchezze ripetitive. A proposito di numeri, la parola gioia è la più frequente nel vocabolario di Francesco. Nuova ancora perché narra il mistero della misericordia di Dio. Prima dei dogmi e dei principi etici, l’evangelizzatore condivide l’esperienza dell’incontro vivo e commosso con la tenerezza del Risorto. Il Vangelo ci spinge ad andare verso le periferie, a recuperare coloro che si sentono ‘rifiuti’, a segnalare che è possibile amare superando la cultura del provvisorio. Infine, la novità la rintraccio nell’esortazione ad essere creativi, non stanchi e ripetitivi, ad assecondare la fantasia dello Spirito. Non è un colpo di genio ‘missionario’ (e quindi non solo diplomatico) l’idea di invitare ‘a casa’ i leaders israeliano e palestinese? Mi ha fatto pensare la battuta di un confratello di una diocesi vicina. Parlavamo di consegne di Progetti Pastorali e mi esce dicendo: “Mamma mia! Ogni anno la diocesi ci snerva. Sempre cose nuove da fare. E’ ora di smetterla!”. Credo che il punto non stia nel fare o nel non fare più o meno cose. Chi ama e si sente amato non può stare fermo. Avverte il bisogno di condividere la sua gioia e troverà il modo per farlo. Non smette, mai! Il Progetto Pastorale Diocesano sarà allora povero, ma utile strumento perché si possa esclamare: “Come sono belli i piedi del messaggero di lieti annunzi!” (cfr Is 52).

 

 

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Dimissionari o missionari?

Il titolo dell’articolo prende spunto, anzi quasi copia un libretto di A. Cencini del 2008, dove missionarietà fa riferimento soprattutto all’atteggiamento interiore di colui che è ‘vocato’ a seguire Gesù. I contenuti che esporrò sono più propriamente pastorali e arrivano da una libera lettura di un contributo di Mons. Luca Bressan, il ‘pastoralista’ di Milano (classe ’63). La Nuova Evangelizzazione o Evangelizzazione, come sembra preferire Papa Francesco (in Evangelii Gaudium Nuova Evangelizzazione ricorre 10 volte contro le 30 di Evangelizzazione), è nata con un piglio ‘oppositivo’. Si trattava di reagire di fronte ad una dilagante scristianizzazione o, se si vuole, ad un processo diffuso e pervasivo di secolarizzazione.Papa Benedetto XVI e con ulteriore vigore e creatività Papa Francesco la concepiscono in termini progettuali come la forma ecclesiae. L’Evangelizzazione è il paradigma della Chiesa, la sua ragion d’essere. Essa è generata dall’evangelizzazione ed esiste per evangelizzare. Tutto e tutti, financo gli orari e gli aspetti più ordinari e tradizionali, sono chiamati ad essere strumento di Evangelizzazione. Il volto ‘nuovo’ dell’Evangelizzazione così inteso è ricco e sfaccettato. Vediamo di coglierne due aspetti. Il primo è di ordine mistico. Si tratta di sentirsi chiamati ad un supplemento di santità, a custodire la relazione con Gesù, a stare alla scuola della sua Parola, a bere al pozzo del Vangelo. Diversamente la chiesa si trasformerebbe in un luogo freddo di trasmissione di dogmi e di regole, oppure in un cantiere pastorale dove a farla da padrone sarebbero le tecniche finendo per sfibrare gli operatori, i quali poi non convincerebbero nessuno. Il secondo aspetto è di tipo pratico. Essere ingaggiati come missionari significherebbe ‘buttarsi nella mischia’, anteporre la pratica alla grammatica, condividere concretamente la fede, essere operativi con coraggio e fantasia. Ci destabilizzano quasi le esortazioni del recente magistero: ‘Se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio… non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni per andare ad annunciarlo’ (cfr EG 120). Pare un ordine di scuderia avventato e inappropriato per un uomo di formazione gesuitica, portato allo studio e al governo sapiente. Una ripresa in chiave moderna di un principio spirituale espresso nel libro dell’Esodo: “Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto.” (Esodo 24,7) Prima il fare e poi l’ascoltare vanno intesi come la proposta di un ascolto obbediente, non solo teorico, vocazionale, immediatamente pronto alla missione. “A me proprio non interessa!”. Pietoso aver ascoltato recentemente da un giovane parroco di una grossa parrocchia del nord una battuta disfattista come questa. Eravamo ad un incontro diocesano, si era appena esposto un avvincente progetto di pastorale giovanile e sapevamo che nella parrocchia del reverendo gli operatori di pastorale giovanile non mancano e insistono nel non perdere tempo. Il Signore Gesù, primo missionario, ci liberi dalla tentazione di una pastorale che si ripete e si clona stancamente. Noi le dimissioni o dismissioni non vogliamo proprio darle!

Don Fabrizio

(tratto da ‘Collegamento Pastorale’ supplemento de ‘il Popolo’ del 05.06.2014 – Diocesi Concordia-Pordenone)

 

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24 ore per il Signore in versione diocesana

Venerdì 28 e Sabato 29 Marzo in Concattedrale a Pordenone e presso la cattedrale di Concordia celebrazioni penitenziali, confessioni, adorazione, eucaristia, preghiera dei salmi, ovvero ’24 ore per il Signore’. Il vescovo Giuseppe associa la Chiesa diocesana all’iniziativa del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, che ha trovato il Papa entusiasta. Francesco stesso a Roma sarà confessore e penitente, uomo di Dio e quindi della sua misericordia.
Mons. Giuseppe ha preso la palla al balzo con determinazione. E’ felice di offrire alla Chiesa diocesana una occasione forte di conversione e di riconciliazione nel bel mezzo dell’itinerario quaresimale. Parrocchie, unità pastorali, foranie poi sono libere di avviare degli appuntamenti analoghi lasciando le chiese aperte per il silenzio e la confessione sacramentale.
Papa Francesco stesso si è incaricato di precisare di non essere mosso dal gusto per le anticaglie liturgiche da rispolverare. L’obiettivo infatti non è ripristinare per breve tempo un rito togliendolo dal museo dei ricordi religiosi. La riconciliazione è esperienza di misericordia e quindi di speranza e di gioia. Per lui la categoria della misericordia interpreta meglio di ogni altra il mistero di Dio, le sue intenzioni amorose. E nello stesso tempo rivela il bisogno profondo dell’uomo, essendo creatura fatta per essere amata e riamata (perdonata).
L’evento suona come una lezione educativa, o come una provocazione pastorale. Siamo interpellati a chiederci che ne abbiamo fatto della confessione. Non raramente i confessionali vengono scelti come luogo ideale per allestimenti di ragnatele o per depositi di materiale e polvere. Si confessa in velocità a ridosso della messa, oppure all’interno della messa. I pastori più intraprendenti non si lasciano sfuggire i grandi passaggi liturgici per organizzare confessioni comunitarie per fanciulli (in massa) e per adulti (sparuti). La confessione viene percepita come immersione e abbraccio nella tenerezza del Signore, o come elencazione di sensi di colpa che ha l’unico scopo di alleggerire un tantino l’anima? Ritorniamo con fiducia e consolazione alla paternità del Padre, come il figlio che se n’era allontanato, o rimaniamo freddi e chiusi nella presunzione, come il fratello maggiore che non ne vuole sapere di unirsi alla festa del perdono?
Egli, che è il punto focale sul quale si concentra l’amore del Padre nella celebre parabola di Lc 15, potrebbe essere la chiave interpretativa della crisi attuale del sacramento: autoreferenzialità, individualismo spirituale, ingratitudine, perfezionismo…
Interessante che ’24 ore per il Signore’ sia stato immaginato e lanciato dal dicastero che si occupa di nuova evangelizzazione. La riconciliazione sacramentale diventa così la casa della festa, del Vangelo del perdono. Essa diviene incontro con un Dio che si occupa degli ultimi, dei poveri, di quanti abbisognano di conversione e hanno smarrito la speranza. Esperienza dove veniamo evangelizzati e che ci abilita ad evangelizzare un Signore che è più grande delle nostre colpe, che ‘dimentica’ addirittura i nostri peccati. Guarda un po’, da sacramento forse triste e prevedibile a spazio per recuperare dignità di figli, la bellezza della vocazione, ovvero d’essere creature amate e destinate ad amare. Non è tutto questo un vangelo straordinario di futuro e speranza?

Don Fabrizio

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Unità Pastorali. La sequenza dei pastori a Pordenone

Situazione di fatto. La sequenza dei nostri pastori.

Dai tempi del povero mons. Sennen Corrà a proposito di Unità Pastorali (UP) e dintorni di acqua ne è passata sotto i ponti. Ricordo che la prima impostazione sulle UP riscuoteva un eloquente silenzio. Talvolta si sentiva un brusio diffuso in sala. Piovevano scuotimenti di testa e risolini di compassione. Sennen ebbe il merito tuttavia di parlarne, e in questo fu profeta (non proprio ascoltato). L’arrivo di mons. Ovidio Poletto ha visto un potenziamento della progettazione pastorale diocesana. Prima si procedeva con il buon senso, facendo leva sulle tradizioni pastorali delle singole comunità e mettendoci, dov’erano presenti delle risorse di creatività, un briciolo di innovazione. Mons. Ovidio ha incoraggiato un maggior coordinamento in Forania. Con lui si sono realizzate le prime forme di collaborazione in UP. Segnale nuovo fu il fatto che nessuno più tra i presbiteri considerava la scelta delle UP come una opzione bizzarra, un pallino dei vescovi del nord Italia, una manovra amministrativa priva di senso. Si conveniva che esse erano una modalità per superare un atavico individualismo e una risposta necessaria alla contrazione rapida del numero dei preti in servizio pastorale. Erano insomma una opportunità per plasmare un volto di Chiesa coerente con il sogno conciliare. Mons. Giuseppe Pellegrini ha dato e sta dando una accelerazione alla pastorale integrata, la sta portando ad essere obiettivo strutturale dei prossimi anni, coinvolgendo in modo ampio e articolato la base sul territorio, preti e laici, organismi diocesani e comunità parrocchiali. L’Instrumentum Laboris, riflessione voluta per un riassetto complessivo della Diocesi, si sta trasformando, snellito ed integrato, in documento vero e proprio. Tale documento uscirà a settimane nella sua versione definitiva. Instrumentum Laboris e documento finale vogliono essere strumento per disegnare una pastorale di rete, dove, senza procedere ad accorpamenti forzati, si creano delle sinergie tra le comunità. Ciò idealmente dovrebbe consentire alle singole parrocchie di essere custodite, di valorizzare la corresponsabilità laicale, di essere rese maggiormente vivaci e capaci di sviluppare una azione pastorale missionaria. I luoghi di tale sinergia ed integrazione saranno le Foranie e le UP. Le Foranie incrementeranno la loro attività formativa e saranno rese spazio per relazioni fraterne e di condivisione, ad iniziare dai sacerdoti. Le UP, di cui vogliamo occuparci prioritariamente, assumeranno consistenza e forza pastorale. Infatti diverse iniziative saranno spostate dall’ambito parrocchiale a quello delle UP, ed esse poi diverranno soggetto di una intraprendenza missionaria. Inoltre va notato che sul documento si è creato un sostanziale consenso, sia sulla sua visione di fondo, che sulle modalità tecnico/pastorali che fornisce. L’acquisizione cordiale degli orientamenti e delle indicazioni è un punto di partenza ottimale ed incoraggiante. In Diocesi ci sono delle esperienze in atto veramente interessanti. In ogni caso, l’impressione che se ne ricava, ascoltando il parere dei pastori e dei Vice Presidenti dei Consigli Pastorali, è che la pastorale integrata sia esperienza presente a macchia di leopardo, che lascia ancora scoperta gran parte del territorio, e limitata solo ad alcuni capitoli della pastorale. Rimane il fatto che la fase di ricezione e di reimpostazione della pastorale, per passare da un assenso della riflessione e della sensibilità, ad una pastorale realmente di tipo integrato e comunionale, domanda un tempo ‘disteso’ e una serie di conversioni di mentalità, di spiritualità, di progettualità, che vanno favorite e non lasciate alla germinazione spontanea.   

(Gennaio 2014)

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