La visione di ‘Lei’, un film recentemente uscito che ha per oggetto la fantascienza tecnologica, mi stimola alcune osservazioni. Premetto che ‘Lei’ non ha nulla a che fare con polpettoni fantascientifici buoni per ragazzini sognanti alieni e mostri mutanti. La fantasia si proietta al massimo nei prossimi venti anni e ciò che si vede è altamente verosimile. Theodore, il nome del protagonista, un adulto non più giovanissimo con un matrimonio fallito alle spalle, scrittore di lettere per conto terzi, che detta al computer, solo e solitario, si innamora di Samantha. Della tipa non si vede un fotogramma, essendo una OS, ovvero un sistema operativo. Le scene narrate, la bravura del protagonista, la voce di Samantha morbida, vibrante ed espressiva rendono la relazione tra i due ‘consistente’, reale, più che virtuale. Qui sta la suggestione della pellicola. La storia diventa, da fantastica, una vicenda credibile, possibile, plausibile. Nulla di preconcetto in me contro il mondo tecnologico e virtuale. Fa problema invece la sovrapposizione dei piani, una commistione, dove è il virtuale a non rispettare più i confini del reale, creando un ambiente finto. Lei (Samantha) vede con la telecamerina dello smart di Theodore, lui sente la sua voce fresca all’auricolare. Si genera allora una intromissione tecnologica nella vita ordinaria, amicale e addirittura sessuale di Theodore. Efficace la scena di lui divertito, che dribbla le persone lungo corridoi, muovendosi ad occhi chiusi, guidato dalla voce di lei, o di lei, che si spaventa divertita da lui, che finge di impattare contro le persone per le vie affollate. Una invasione di campo, che notiamo anche nella decisione di effettuare una gita di fine settimana con degli amici, consentendo a Samantha di interagire con tutto il gruppo. Commistione curiosa di reale e virtuale, dove l’amica invisibile assume il ruolo di attore principale. Simile lo scambio verbale tra Theodore, la figlia e Samantha, dove quest’ultima assume il ruolo di compagna ufficiale di Theodore e si ingrazia la simpatia della piccola. Emblematica la scena del rapporto carnale (?) tra lui e ‘Lei’. Samantha, un sistema al silicio, appare capace di evolvere, di provare gioia e sconforto, di innamorarsi e di far innamorare, tanto che lui la definisce ‘persona’. E’ il massimo della falsità: il virtuale non si limita ad essere ingombrante, ma assorbe il reale pretendendo di essere lui stesso il reale per eccellenza. Un reale (assurdo ed ingannevole) più interessante, avvincente e bello, rispetto al banale e sbiadito reale della vita ordinaria. Amara e salutare scoperta poi, per lui, nell’apprendere, che Samantha stava intrattenendo relazioni simili alla sua con migliaia di utenti e centinaia di amanti. Il regista a questo punto metterà in bocca ai personaggi frasi chiave e ritornanti del tipo: ‘Bisogna chiamare le cose con il loro nome’. La verità, il rispetto delle identità, la cura per le differenze ci consentiranno di affrontare con spirito libero ed intelligente i potenti mondi del reale e del virtuale che si incroceranno e si inabiteranno sempre più? Che ne direbbe il nostro Theodore?