La prima volta



Vorrei spendere una parola per incoraggiare il cammino appena avviato per il riassetto delle Foranie e delle Unità Pastorali, che per noi è contenitore e sostanza nello stesso tempo dell’azione pastorale. Un prete amico mi raccontava le sue perplessità in merito alla visione di Chiesa e alle proposte operative che emergono dall’Instrumentum Laboris, documento che guiderà lo studio e l’implementazione della riorganizzazione diocesana.

Mi chiedo perché non di rado quando parliamo di cor-responsabilità, di con-divisione, di com-unione, di in-tegrazione (tutti termini che evocano dialogo e scambio) facciamo fatica a commuoverci. Il cuore appunto non si muove e non proviamo attrazione ed entusiasmo. La mente tutt’al più riconosce che l’operazione delle Unità Pastorali è necessaria, dovuta, razionale, ma non vi si vede e non si gode per una visione di Chiesa che vi sottende. Tra le ragioni di questa reazione spirituale e pastorale insieme vi scorgo un paio di ‘virus’ che ci irrigidiscono come la corazza di Davide prima di ingaggiare battaglia contro Golia.
Ricordo un giovane prete milanese che conobbi. Allora aveva sui trent’anni. Mi confidò che stava percorrendo un itinerario personale di conversione e di revisione di vita accompagnato da dei sacerdoti esperti. Mi rivelò che con suo sommo stupore stava provando come una gioia che gli dilatava le pareti del cuore, quasi da fargli male, fino a portarlo alle lacrime. Sentiva che dentro di sé poteva ospitare il mondo, mentre prima era tutto preso dalle sue perfezioni personali. Mentre esperimentava la libertà dal suo individualismo, era attratto dalla bellezza della fraternità e della comunione.
Eccola qui la prima ‘bestia’, l’autoreferenzialità, in alcuni talmente sottile da sfuggire agli stessi interessati che ci impedisce di essere autenticamente affascinati dall’Altro e dagli altri, senza infastidirci o spaventarci delle loro differenze, anzi lasciandocene incantare.
Ho letteralmente ‘bevuto’ un recente saggio sull’uomo tecno liquido di Tonino Cantelmi della Lumsa di Roma. L’uomo contemporaneo, tecno liquido così lo chiama, figlio di internet ama contatti leggeri (light), liquidi, non impegnativi, blandi e difficilmente si impegna in relazioni vere. Porta nel suo smartphone migliaia di indirizzi mail e di numeri di cellulare, ma in realtà stabilisce solo delle connessioni virtuali che può spegnere con un click. Entrare in un circuito di confronto, di corresponsabilità, di ascolto paziente, di tessitura comune, di relazioni veraci diviene così per taluni una impresa improbabile per la quale non merita rischiare e scommettere più di tanto. Se sapremo sbarazzarci di tale corazza saremo liberi di procedere. Sarò anche rincitrullito, ma a me pare che l’impresa di metterci in rete domanda oltre che intelligenza e professionalità un sacco di desiderio, insomma è una faccenda di innamoramento per tutto ciò che sa di Comunione, dalla quale siamo fatti e per la quale siamo fatti.

Don Fabrizio
(tratto da ‘Collegamento Pastorale’ supplemento de ‘il Popolo’ – Diocesi Concordia-Pordenone)

 

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